TAR Lazio, sez. I (Ordinanza) 31 gennaio 2001 n. 374 (Questione di legittimità costituzionale della legge 31 luglio 1997, n. 249, artt. 2, comma 6, e 3, commi 6 e 7 in materia di radiotelevisione).

 

 

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO

 

ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 21 e 136 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 6, e 3, commi 6 e 7 della legge 31 luglio 1997, n. 249, i quali, pur prescrivendo, in ossequio alle proposizioni enunciate dalla Corte costituzionale con la sentenza 7 dicembre 1994, n. 470, che non è consentito ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale, hanno poi demandato all'Autorità per Garanzie nelle comunicazioni (AGC) di "stabilire un periodo transitorio nel quale non vengono applicati i limiti" suddetti (art, 2, comma 6). In tal modo il legislatore ha operato una evidente violazione dei principi della ragionevolezza, del pluralismo nella manifestazione del pensiero, della libertà di iniziativa economica, come affermati dalla Corte costituzionale, la cui pronuncia risulta quindi palesemente elusa, con ulteriore violazione dell'art. 136 della Costituzione.

La disciplina in questione infatti, conferendo all'amministrazione una facoltà non delimitata nel tempo, ha consentito che l'assetto del settore, colpito dalla pronuncia della Corte, si perpetuasse indefinitamente e sia ancora in atto.

 

Svolgimento del processo

 

I ricorrenti, dopo un'ampia premessa volta ad illustrare la loro legittimazione all'impugnazione a norma della legge 30 luglio 1998, n. 281, sostengono l'illegittimità dei provvedimenti con i quali si è data attuazione alla disciplina della radio diffusione televisiva privata in ambito nazionale su frequenze terrestri, dettata dalla legge 31 luglio 1997, n. 249, ed in particolare, del provvedimento 30 luglio 1999 di attribuzione delle concessioni e delle autorizzazioni per la radiodiffusione televisiva privata su frequenze terrestri, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 249 del 1997; del regolamento per il rilascio delle concessioni di cui alla deliberazione l dicembre 1998 dell'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni; del regolamento e del disciplinare per il funzionamento della Commissione per la determinazione degli aventi diritto alle concessioni; dei provvedimenti di negazione del diritto di accesso.

A sostegno del gravame deducono in primo luogo una eccezione di illegittimità costituzionale a carico dell'art. 2, comma 6, e dell'art. 3 comma 6 e 7, della legge n. 249 del 1997, in riferimento agli artt. 3, 21,41 e 43 della Costituzione.

Le norme contenute nelle disposizioni impugnate, pur prescrivendo, in ossequio alle proposizioni enunciate dalla Corte costituzionale con la sentenza 7 dicembre 1994, n. 470, che non è consentito ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale, hanno poi demandato all'Autorità per Garanzie nelle comunicazioni (AGC) di "stabilire un periodo transitorio nel quale non vengono applicati i limiti" suddetti.

In tal modo il legislatore avrebbe operato una evidente violazione dei principi della ragionevolezza, del pluralismo nella manifestazione del pensiero, della libertà di iniziativa economica, come affermati dalla Corte costituzionale, la cui pronuncia risulta quindi palesemente elusa, con ulteriore violazione dell'art. 136 della Costituzione.

Una diversa censura attiene alla violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, in relazione alla richiesta della ricorrente TBS di partecipazione al procedimento per il rilascio delle concessioni, alla richiesta di acquisizione degli atti avanzata dal Comitato per la trasparenza del procedimento di rilascio delle concessioni e dalla stessa Adusbef. Tali istanze sono rimaste senza esito e da ciò conseguirebbe l'illegittimità dell'intero procedimento.

Il Ministero delle comunicazioni, inoltre, avrebbe violato il Regolamento di cui alla deliberazione n. 78 del 1998 dell'AGC per il rilascio delle concessioni, sia perché i provvedimenti concessori non sono stati essere rilasciati tutti entro il 31 luglio 1999, essendone stati assentiti sette, e non otto, sia perché la Commissione incaricata della valutazione delle istanze ai sensi dell'art. 9 non sarebbe stata regolarmente composta. Alcuni commissari, infatti, non sarebbero stati scelti nell'ambito dell'elenco di nomi indicato daIl'AGC, e la Commissione avrebbe quindi operato in composizione illegittima, almeno per alcuni periodi della sua attività.

Una diversa violazione del Regolamento innanzi citato viene individuata con riguardo al precetto concernente la regolarità della posizione previdenziale dei lavoratori occupati. Risulterebbe da notizie di stampa la conferma da parte dell'Ente di previdenza dei giornalisti INPGI che TMC non aveva provveduto ai necessari versamenti.

Si contesta, poi, la legittimità del rilascio di due autorizzazioni, l'una a Rete 4 l'altra a Telepiù Nero, poichè la legge prevede che il titolo per l'esercizio della radiodiffusione televisiva sia soltanto la concessione. Il provvedimento di autorizzazione lascerebbe supporre che si sia riconosciuta l'esistenza di un diritto alla attività in questione, mentre è generalmente riconosciuto che si tratta di area riservata allo Stato, il quale deve emettere provvedimenti costitutivi di una posizione soggettiva che, in difetto, non rientra nel patrimonio dei richiedenti.

Il regolamento sarebbe anche illegittimo per effetto del contrasto della legge 30 aprile 1998, n. 122, i cui limiti in materia pubblicitaria debbono essere rispettati dal concessionario (vedi regolamento, art. 7, comma 1, lett. 1), con la direttiva comunitaria n. 89/552, recepita con la legge n. 327 del 1991.

Si chiede che il tribunale adito, disapplicando la legge n. 122 del 1998, annulli il regolamento per il rilascio delle concessioni.

Si sono costituiti in giudizio: RAI Radiotelevisione Italiana S.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. Filippo Satta, e Reti Televisive Italiane - R.T.I., S.p.s. rappresentata e difesa degli avvocati Aldo Bonomo, Aldo Frignani, Giuseppe Rossi e Avilio Presutti, per avversare le tesi dei ricorrenti in tema di incostituzionalità delle norme impugnate; TV Internazionale S.p.a. e Beta Television S.p.a., rappresentate e difese dall'avv. Alessandro Pace e dall'avv. Ottavio Grandinetti, eccependo il difetto di legittimazione delle ricorrenti, esprimendo tuttavia consenso alla sola questione di costituzionalità e dissenso sugli altri motivi; Europa TV S.p.a. e Prima TV S.p.a., rappresentate e difese dall'avv. Felice Vaccaro, sollevando diversa eccezione di legittimità costituzionale a carico dell'art. 3 comma 11 della legge n. 249 del 1997, nella parte in cui vieta la titolarità di più di una concessione per le trasmissioni di programmi in forma codificata; Vallau Italiana Promomarket S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Sanino, Antonoio Lirosi e Filippo Pacciani, e Rete A S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Federico Sorrentino, sostenendo le ragioni delle ricorrenti.

Con ordinanza 17 novembre 1999, n. 3358, la sezione ha respinto l'istanza cautelare, ha ordinato l'integrazione del contraddittorio ed ha disposto incombenti istruttori a carico del Ministero delle comunicazioni.

Alla pubblica udienza del 31 gennaio 2001 la causa veniva trattenuta in decisione.

Con sentenza in pari data la sezione ha respinto le eccezioni di difetto di legittimazione avanzate da TV Internazionale S.p.a. e da Beta Television S.p.a., ed ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata da Europa TV S.p.a. e da Prima TV S.p.a.. Ha quindi sospeso l'esame delle censure di merito, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con il primo motivo.

 

Diritto

 

Come riferito nel cenno del fatto, gli organismi in epigrafe sostengono l'illegittimità dei provvedimenti con i quali si è data attuazione alla disciplina della radio diffusione televisiva privata in ambito nazionale su frequenze terrestri, dettata dalla legge 31 luglio 1997, n. 249, deducendo in primo luogo una eccezione di illegittimità costituzionale a carico dell'art. 2, comma 6, e dell'art. 3 comma 6 e 7, della legge n. 249 del 1997, in riferimento agli artt. 3, 21, 41 e 43 della Costituzione.

Le norme contenute nelle disposizioni impugnate, pur prescrivendo, in ossequio alle proposizioni enunciate dalla Corte costituzionale con la sentenza 7 dicembre 1994, n. 470, che non è consentito ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale, hanno poi demandato all'Autorità per Garanzie nelle comunicazioni (AGC) di "stabilire un periodo transitorio nel quale non vengono applicati i limiti" suddetti (art, 2, comma 6).

Più in particolare, l'art. 3 comma 6, consente l'esercizio delle reti eccedenti i detti limiti dopo il 30 aprile 1998 a condizione che "le trasmissioni siano effettuate contemporaneamente su frequenze terrestri e via satellite o via cavo" ma che le stesse debbano essere effettuate "esclusivamente via cavo o via satellite", "successivamente al termine di cui al comma 7".

Il detto comma demanda all'AGC di indicare il termine in questione "in relazione all'effettivo e congruo sviluppo dell'utenza dei programmi radiotelevisivi via satellite e via cavo". In tal modo il legislatore avrebbe operato una evidente violazione dei principi della ragionevolezza, del pluralismo nella manifestazione del pensiero, della libertà di iniziativa economica, come affermati dalla Corte costituzionale, la cui pronuncia risulta quindi palesemente elusa, con ulteriore violazione dell'art. 136 della Costituzione.

La disciplina impugnata infatti, conferendo all'amministrazione una facoltà non delimitata nel tempo, ha consentito che l'assetto del settore, colpito dalla pronuncia della Corte, si perpetuasse indefinitamente e sia ancora in atto.

Ritiene il collegio che la questione sia rilevante nel giudizio promosso per l'annullamento degli atti applicativi della disciplina delle concessioni per l'esercizio dell'emittenza televisiva in ambito nazionale su frequenze terrestri. In proposito è da osservare che l'insieme degli atti impugnati, ossia il Piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva (30 ottobre 1998), il regolamento per il rilascio delle relative concessioni (1o dicembre 1998), il connesso disciplinare per la valutazione delle domande (d.m. 8 marzo 1999), nonché i singoli provvedimenti concessori (30 luglio 1999), è stato adottato in costanza del regime transitorio scaturente dalla normativa impugnata, caratterizzato dalla deroga al limite del 20 dei programmi televisivi.

In altri termini, le concessioni sono state rilasciate utilizzando le risorse quali risultavano disponibili dopo aver assicurato, in applicazione della normativa impugnata, la continuità della gestione alle imprese che superavano il predetto limite. Ne consegue che ove il detto regime transitorio dovesse essere caducato, risulterebbe incrementata la disponibilità di frequenze da assegnare ad altri aspiranti, con evidente beneficio del pluralismo nella manifestazione del pensiero e nell'informazione.

Può ricordarsi in proposito come la Corte costituzionale, nella sentenza n. 420 del 1994, abbia affermato la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale proposte nei confronti della legge n. 223 del 1990, art. 15, comma 4, in sede di impugnazione delle concessioni rilasciate in base alla detta normativa, e miranti a ridurre la quota di reti concedibili ad uno stesso soggetto, allora fissata nel 25 fmo ad un massimo di tre.

La questione appare inoltre non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 3, 21 e 136 della Costituzione.

Con riguardo al dato oggettivo della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 15, comma 4, della legge n. 223 del 1990, in quanto il limite alle concentrazione di reti e programmi presso un unico soggetto, quale risultante dal parametro percentuale del 25 e da quello assoluto di tre reti, è stata giudicato non rispettoso"dell'imperativo costituzionale sotteso all'esigenza di garanzia del valore del pluralismo (ex art. 21 Cost.)"(sent. n. 420/1994), vanno qui sottolineate le incisive ed inequivocabili proposizioni con le quali la Corte costituzionale ha voluto definire la non prorogabilità del regime giudicato illegittimo.

Si legge al punto 15 della motivazione: "Con la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 15, comma 4, il valore del pluralismo, espresso dall'art. 21 Cost., si specifica già come regola di immediata applicazione, nel divieto - in rapporto all'attuale assetto complessivo del settore televisivo - di titolarità di tre concessioni di reti nazionali su nove assentibili a privati (o dodici in totale) ovvero di titolarità del 25 del numero complessivo delle reti previste, mentre rimane nella discrezionalità del legislatore disegnare la nuova disciplina positiva di tale limite per colmarne la sopravvenuta mancanza" (corsivo aggiunto).

L'immediatezza del divieto per il legislatore di perpetuare l'assetto giudicato incostituzionale trova poi conferma nelle proposizioni finali della motivazione, con le quali si precisa che "la sopravvenuta mancanza" della disciplina annullata non determina un "vuoto". "Rimane infatti pienamente efficace il decreto legge n. 323 del 1993, e quindi resta ferma nel periodo di transizione - e limitatamente a tale periodo - la provvisoria legittimazione dei concessionari con d.m. 13 agosto 1992 a proseguire nell'attività di trasmissione ..." (corsivo aggiunto).

Il "periodo di transizione", che in forza dell'art. 1 del detto d.l. 28 agosto 1993, n. 323, non avrebbe dovuto estendersi oltre i tre anni da quest'ultima data, fu poi prorogato fino al 31 luglio 1997 dal d.l. 23 ottobre 1996, n. 545, convertito con modificazioni dalla legge 23 dicembre 1996, n. 650. La legge 31 luglio 1997, n. 249, dunque, entrata in vigore il giorno successivo, anziché decretare il superamento definitivo dell'assetto giudicato incostituzionale, e quindi l'effettiva efficacia di nuovi limiti alla concentrazione di reti e frequenze, ha bensì individuato il parametro del 20 ma ne ha contestualmente rinviato l'applicazione ad una data imprecisata.

Dal combinato disposto di cui agli artt. 2 comma 6, e 3, commi 6 e 7, infatti, emerge: a) la facoltà di proseguire nell' esercizio delle reti eccedenti il limite; b)l'attribuzione all'AGC di fissare il termine del periodo transitorio.

Agli inizi del 2001, il "periodo transitorio", che secondo la Corte non avrebbe dovuto superare l'agosto del 1996, non accenna a concludersi, perché, grazie alle norme impugnate, il settore televisivo può essere gestito secondo un assetto del quale la Corte ha solennemente proclamato il contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 21 della Costituzione, per le ragioni esaustivamente illustrate nella sentenza n. 420 del 1994, che non occorre ribadire in questa sede, pianamente riferibili, di riflesso, anche alle norme impugnate con la presente ordinanza.

Può solo osservarsi, con riguardo alle difese delle parti controinteressate, che non è possibile pervenire ad un giudizio di infondatezza delle censure dedotte facendo appello alla discrezionalità del legislatore, oppure alla necessità di periodi che consentano la gradualità di trasformazioni coinvolgenti rilevanti interessi, o, in fine, alla piena legittimità del conferimento di poteri regolatori dell'autorità amministrativa indipendente.

Si deve rammentare che la sent. n. 420 del 1994 ha già accordato al legislatore una moratoria di circa due anni, inutilmente decorsa ed illegittimamente dilatata. Ma, soprattutto, che degli istituti invocati dalle parti resistenti non può farsi un uso strumentale, che si risolva nella grave elusione del giudicato costituzionale e nella plateale violazione dei principi in esso affermati.

P. Q. M.

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 21 e 136 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 6, e 3, commi 6 e 7 della legge 31 luglio 1997, n. 249;

Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;

Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio del 31 gennaio 2001