L’obbligo di informazione da parte del medico nella fase
precontrattuale ed il consenso informato
A cura della Dott.ssa Serafina Denise Amendola
La particolare
natura degli interessi coinvolti nello svolgimento delle attività mediche
induce ad effettuare una attenta specificazione della responsabilità del medico
derivante dall’omessa o cattiva informazione nei confronti del paziente sui
rischi e gli effetti che dall’esercizio dell’attività stessa possano derivare.
La vocation du mèdecin non si avvale di
disposizioni normative atte a segnare la sfera limitativa della regolarità del dovere e dei compiti, vieppiù, esso
deriva da una “intima e necessaria
consapevolezza”[1].
Non è compito
indubbiamente facile stabilire in quali casi il medico risponde di
responsabilità nei confronti di un paziente per omessa informazione tenuto
conto che una tale responsabilità può rinvenirsi anche al di fuori di un
rapporto contrattuale ed ancorarsi tanto al principio sancito dall’art.2043
c.c. del codice civile, della responsabilità extracontrattuale nel cui alveo
possono essere ricomprese numerose fattispecie data la regola dell'atipicità
dell’illecito accolto nel nostro ordinamento, quanto alla figura della responsabilità
precontrattuale che da più parti viene invocata come forma di responsabilità
autonoma, ancorchè sui generis, distinta dalle due branche tradizionali della
responsabilità civile e collocata nella terra di nessuno tra contratto e fatto
illecito.
La responsabilità
precontrattuale, fuor di dubbio genera non poche perplessità in ordine alla sua
configurazione in una determinata responsabilità professionale.
La peculiarità
e complessità delle azioni che concorrono allo svolgimento dell’attività medica
determinano sovente una riduzione notevole degli obblighi precontrattuali nei
quali rientra perfettamente quello dell’informazione.
Ciò è dovuto
al fatto che solitamente il dovere d’informare il paziente è parte integrante
della prestazione contrattualmente dovuta che trae origine dalla natura
dell’obbligazione stessa.
Il
professionista, infatti, può essere definito come “il depositario di una competenza tecnica nel suo settore”[2]
che si trova di fronte ad un paziente che non è dotato di analoga qualità e che
come tale necessita di chiare specificazioni in ordine alle domande e problemi
prospettati oggetto della richiesta di intervento effettuata nei confronti del
professionista.
La
responsabilità precontrattuale è abbagliata anche dal fatto che la prestazione del
medico rappresenta la tipica obbligazione di mezzi che ha quale oggetto della
obbligazione il rispetto della corretta diligenza nel senso che “l’esercente una professione intellettuale è
tenuto unicamente a porre in essere l’attività astrattamente e normalmente
idonea a realizzare le aspirazioni del committente senza assumere alcun obbligo
di conseguire il risultato”[3],
salvo le considerazioni svolte in precedenza a proposito della differenza tra
obbligazione di mezzi e obbligazioni di risultato compreso i casi in cui
l’attività del medico deve essere definita quale attività di risultato.
Nello
svolgimento dell’attività professionale del medico – è ormai pacifico sia in
dottrina che in giurisprudenza - si individua una prima fase preliminare e
diagnostica diretta al rilevamento dei dati sintomatologici ed una seconda fase
terapeutica o, eventuale, di intervento chirurgico.
Ebbene, da
tale premessa, risulta di tutta evidenza che il momento precontrattuale viene
completamente assorbito dall’oggetto del contratto con la conseguenza che una
serie di obblighi che generalmente dovrebbero costituire la fase antecedente
alla stipulazione del contratto rientrano perfettamente nella complessa
prestazione che il medico è chiamato ad eseguire e fuor di dubbio tra questi
atti definibili preliminari deve essere ricompresa l’informazione al paziente[4].
Ne deriva che
la mancanza di informazione determina una responsabilità del medico definibile
correttamente come contrattuale.
La Corte,
infatti, precisa come: ”la prestazione
professionale del chirurgo… comporta sempre e necessariamente (…) una attività
preliminare di diagnosi al fine di stabilire l’opportunità o meno
dell’intervento; ne consegue che l’indicato dovere di informazione diretto ad
ottenere un consapevole consenso del cliente, interviene dopo che, con
l’attività diagnostica è già iniziata l’esecuzione del contratto d’opera
professionale e quindi ha natura contrattuale così come contrattuale è la
responsabilità derivante dal suo mancato assolvimento”[5].
Nonostante vi
sia la pacifica accettazione della suddivisione in ordine all’attività del
professionista nella fase preliminare appunto e in quella di intervento da
parte di dottrina e giurisprudenza, unanimità analoga non è riscontrata per
quanto attiene alla collocazione del dovere d’informazione nell’ambito di detta
attività.
In
giurisprudenza è stato, infatti, precisato che: “sul presupposto che
il rapporto intercorrente tra medico e
paziente ha natura contrattuale di
tipo professionale, ne
segue che l'obbligo
di informazione del medico
attiene alla fase
precedente la stipulazione del
contratto e rientra
nell'obbligo del
comportamento secondo buona
fede imposto dall'art. 1337 c.c.
alle parti nello svolgimento
delle trattative e
nella formazione del contratto ”[6].
Alla luce
delle considerazioni svolte si deduce che: “il
valore dell’informazione resa al paziente resta in bilico tra una sua rilevanza
in fase di formazione del consenso (alla quale viene consegnata quando se ne
afferma la natura precontrattuale o quando se ne discorre come requisito di
<<validità>> del consenso)a quella della sua incidenza nella
esecuzione in quanto adempimento di una obbligazione contrattuale[7].
La Suprema
Corte, in effetti, più volte ha definito il dovere di informazione sia come
condizione di validità del consenso e sia ribadendo la natura contrattuale
della responsabilità medica per violazione dell’obbligo di informare.[8]
A prescindere
dalla collocazione che al dovere di informazione viene attribuita, ciò che
rileva è, comunque, che dalla omissione o errata informazione ne deriva in capo
al professionista una responsabilità verso il danneggiato.
Sebbene la
tendenza frequente è quella di considerare il dovere di informazione come
condizione di validità del consenso e quindi rientrante tra gli atti
preliminari e diagnostici non si è mai esclusa la responsabilità in quanto “in capo ad ogni professionista medico esiste
un dovere di informazione nei confronti del paziente che trova la sua origine
nel rapporto di cura in quanto inscindibilmente connesso con la natura della
prestazione cui il medico è tenuto”[9].
Posto che è
fuor di dubbio come la necessità del consenso, affinchè sia consapevolmente
prestato, deve essere pienamente e correttamente informato[10]
ne deriva che l’atto medico non può prescindere dal regolare consenso del
paziente.
La Suprema
Corte ha precisato che “la necessità del
consenso… si evince dall’art. 13 della Costituzione, il quale come è noto
afferma l’inviolabilità della libertà personale nel cui ambito si ritiene
compresa la libertà di salvaguardare la propria salute e la propria integrità
fisica escludendone ogni restrizione (…) se non per atto motivato dall’autorità
giudiziaria e nei soli casi e con le modalità previste dalla legge”[11].
Il principio
di libertà costituzionalmente protetto impone al medico di non agire senza il
consenso dell’assistito né tantomeno contro di lui.
A meno
che non siano
obbligatori per legge o che ricorrano gli estremi dello
stato di necessità
e il paziente non possa per le
sue condizioni prestare
il proprio consenso,
i trattamenti sanitari sono
di norma volontari (art. 13 e 32, comma 2, cost.) e
la validità del consenso è
condizionata alla informazione, da parte del professionista al quale è
richiesto, sui benefici, sulle modalità in genere,
sulla scelta tra
diverse modalità operative e
sui rischi specifici
prevedibili dell'intervento terapeutico - informazione che deve essere effettiva e corretta
- e, nel caso che
sia lo stesso paziente a
richiedere un intervento
chirurgico, per sua natura complesso e
svolto in équipe,
la presunzione di
un implicito consenso a
tutte le operazioni preparatorie e successive connesse
all'intervento vero e
proprio, non esime
il personale medico responsabile dal
dovere di informarlo
anche su queste
fasi operative in modo che
la scelta tecnica dell'operatore avvenga dopo una adeguata
informazione e con il consenso specifico dell'interessato[12].
Il crescente
rilievo che viene dato al consenso del paziente risiede nella continua
estensione delle ricerche scientifiche e tecnologiche che influiscono in
maniera sempre più pregnante nella sfera privata della persona tanto da
richiedere una tutela più attenta sulle modalità di intervento sul corpo umano
e nel caso di specie sul paziente[13].
Il medico,
quindi, in presenza di un esplicito rifiuto da parte del paziente capace di
intendere e volere ha il dovere di astenersi da qualsiasi atto diagnostico e
curativo, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la esplicita
volontà del paziente.
L’imposizione
di un dato trattamento sanitario avviene solo nell’interesse dell’intera
collettività.
La Corte
Costituzionale ha spiegato come :“La
legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art.32
Cost. se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato
di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute
degli altri, giacchè è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come
interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella
autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno, alla salute
in quanto diritto fondamentale[14].
Affinchè possa
dirsi rispondente ai canoni della correttezza l’attività del medico deve
fondarsi sul consenso libero, competente, spontaneo, cosciente, esplicito e
soprattutto informato del paziente, esente da vizi giuridicamente invalidanti,
nonché rinnovabile o meno nel corso dello svolgimento dell’attività medica[15].
Allorchè il
paziente abbia la possibilità di scegliere se sottoporsi o meno alle cure del
medico è necessario che sia messo in condizione di farlo. Ciò è possibile solo
dopo aver ricevuto tutte le informazioni valide che gli consentano una accurata
ed oculata scelta. È necessario, quindi, che il medico renda edotto il paziente
su tutte le notizie utili al fine di effettuare una scelta informata.
L’informazione,
come si è detto, rappresenta il requisito di validità del consenso e si
distingue tra scelte tecniche riservate al medico e scelte esistenziali
riservate al paziente.
L’informazione
non deve avere ad oggetto i profili tecnici e scientifici dell’attività medica
che si intende porre in essere bensì “i
rischi, le eventuali complicanze i possibili interventi alternativi, la qualità
della vita attesa”[16].
Anche nella
giurisprudenza tedesca si è elaborato il criterio del consenso informato,
intendendosi con tale espressione la chiara rappresentazione dei rischi e delle
conseguenze della malattia comparati con i rischi e le conseguenze
dell’intervento terapeutico. È stata, così, respinta, da parte della giurisprudenza
costituzionale federale, la possibilità che il medico, che non abbia chiesto ed
ottenuto il consenso, possa difendersi provando che un “paziente ragionevole”
(vernüftigen Patienten) sarebbe stato perfettamente disposto a subire lo stesso
intervento[17].
Analogamente,
in Francia, l’obbligazione di informare il paziente, viene fatta dipendere dal
carattere e dalla natura del trattamento e dall’attitudine del malato a
ricevere le informazioni che possono essere anche semplici e approssimative ma
devono essere intelligibili e leali[18].
È proprio su
questi elementi che si basa il contenuto dell’obbligo di informazione e che dà
conseguentemente vita ad un corretto consenso informato[19].
L’attenzione
rivolta da una parte della dottrina e della giurisprudenza al contenuto della
prestazione che il medico è obbligato a rendere in virtù del contratto concluso
ha rivelato un dato di grande interesse relativo al ruolo, svolto nella
ricostruzione della sua responsabilità, dagli obblighi informativi che la legge
pone a suo carico.
Il dato in
questione evidenzia come il momento stricto sensu precontrattuale
dell’informazione venga ad essere assorbito nell’orbita del contratto con la
conseguenza che una serie di obblighi – ancorchè prima facie localizzabili
nella fase che precede l’effettuazione dell’opus (e tra essi, in primis, quello
avente per oggetto l’informazione del paziente) – entra a far parte, a pieno
titolo, della complessa prestazione che l medico è tenuto ad effettuare per
effetto del contratto d’opera professionale.
Ne consegue,
dunque, che l’informazione, melius, l’obbligo avente contenuto informativo
acquista rilevanza anche ai fini dell’individuazione e della determinazione
dell’oggetto del contratto[20]
ove si consideri che la nozione stessa di oggetto può bene identificarsi con
l’interesse che nell’accordo contrattuale le parti hanno inteso regolare[21].
Non v’è dubbio
che nella sfera degli interessi in questione rientri a pieno titolo la tutela
del paziente dal quale, come si è visto, si pretende un consenso informato[22]
e di riflesso l’obbligo che incombe sul medico di osservare le regole di
correttezza, buona fede e diligenza professionale su cui si fonda l’esigenza di
rendere edotto il paziente sulla natura, l’importanza, la delicatezza
dell’operazione nonché i rischi ed i pericoli ad essa connessa[23].
Può, del
resto, agevolmente osservarsi che nella genesi del contratto l’individuazione
del suo oggetto costituisce un momento che, almeno nelle sue linee essenziali,
le parti devono rappresentarsi o prefigurarsi all’atto della formazione
dell’accordo consensuale[24].
È pacifico che
a norma dell’art 1346 c.c. al momento della formazione del contratto l’oggetto
deve essere necessariamente – altrimenti il contratto sarebbe nullo –
determinato o almeno determinabile[25].
Sulla base di
tali considerazioni la giurisprudenza ha più volte affermato che sul presupposto
che il rapporto intercorrente
tra medico (anche se inserito in una
struttura pubblica) e
paziente ha natura contrattuale di
tipo professionale, ne segue che
l'obbligo di informazione del
medico attiene alla
fase precedente la stipulazione del contratto e
rientra nell'obbligo del comportamento secondo buona fede
imposto dall'art. 1337 c.c. alle parti
nello svolgimento delle
trattative e nella formazione del contratto[26].
Roma,
1998.
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[1] BARNI M., La prescrizione dei farmaci: libertà terapeutica e responsabilità del medico, in Riv. It. Med. Leg., XVI, 1994, p.555.
[2] Così GRISI, L’obbligo precontrattuale di informare, Napoli, 1990, p.447.
[3] GRISI, op. cit., p.448.
[4] Cfr. sul punto GRISI, op. cit., pp.460ss.
[5] Cass. 8 agosto 1985, n.4394 in Foro It. , 1986, I, 121, con nota di Princigalli; conforme Cass. 26 marzo 1981 n.1173, in Foro it., 1981, II, 1540.
[6] Così App. Bologna, 21 novembre 1996 in Resp. Civ. e Prev., 1997, 374, con nota di MARTORANA; dello stesso tenore Cass. Civ., III, 25 novembre 1994, n.10014 in Mass., 1994: <<l’obbligo d’informazione deriva… dal comportamento secondo buona fede cui si è tenuti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art.1337)>>.
[7] FERRANDO G., Chirurgia estetica, consenso informato del paziente e responsabilità del medico, in Nuova Giur. Civ. Com., 1995, p.948.
[8] Il rilievo è di FERRANDO G., op. cit., p.948 in merito alla sentenza della Cassazione civile n.1773 del 1981, in Arch. Civ., 1981, 544 che così recita: “Nel caso di intervento chirurgico, è necessario che il paziente dia il proprio consenso al compimento sul suo corpo degli atti operativi, con la conseguenza che sussiste responsabilità, di natura contrattuale, a carico del sanitario per eventuali danni derivati dall'intervento effettuato in difetto di detto consenso; e seppure questo non è condizionato a specifici requisiti di forma e può essere manifestato al sanitario con un comportamento tacito, occorre, per la sua validità, che il consenziente venga in precedenza edotto dei pericoli insiti nell'atto operatorio, con la prospettazione anche dei possibili esiti incidenti sulla sua vita di relazione, che, esulando dai limiti del problema tecnico, rimesso alla scelta del solo sanitario, vanno valutati dal paziente per poter consapevolmente, e quindi validamente, manifestare il proprio assenso.”
[9] Così MARTORANA C., Considerazioni su informazione del paziente e responsabilità del medico, nota a sentenza, in Resp. Civ. Prev., 1997, 383.
[10] FERRANDO G., op. cit., p.948. Secondo l’A. “non può esservi consenso senza informazione, o meglio il consenso o è informato o non è consenso”.
[11] Cass. Civ., III, 25 novembre 1994, n.10014 in Mass., 1994.
[12] Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1997, n. 364 in Giust. Civ., 1997, I, 1586.
[13] Cfr. RODOTÀ, Tecnologie e diritto, Il Mulino, Bologna, 1995.
[14] Così Corte Costituzionale 26 giugno 1990, n.307, in Corr. Giur., 1990, 1018.
[15] Cfr. Cass. civ., 12 giugno 1982, n. 3604 in Giust. Civ. , 1983, I, 939 :“In tema di responsabilità del medico connessa all'esecuzione di un intervento chirurgico, l'accertamento del consenso del paziente, essenziale per la liceità dell'atto operatorio, postula la precisa distinzione tra intervento di chirurgia estetica ed intervento operatorio a fini funzionali, al fine di stabilire se l'operazione in concreto eseguita sia diretta all'uno od all'altro tipo d'intervento, conformemente alla richiesta dell'interessato, e se, nell'uno o nell'altro caso, quest'ultimo vi abbia acconsentito, dopo essere stato opportunamente informato dal chirurgo dell'effettiva portata dell'intervento, in relazione alla sua gravità, agli effetti conseguibili, alle inevitabili difficoltà, alle eventuali complicazioni ed ai prevedibili rischi coinvolgenti probabilità di esito infausto, così da poter decidere tra l'opportunità di procedere all'intervento, stante la ragionevole aspettativa di successo, e la necessità di ometterlo in mancanza di prevedibili vantaggi, esclusi in ogni caso dalla certezza di esiti infausti permanenti”. In dottrina conforme FARAONE G., op. cit., p.657-670.
[16] FERRANDO G., op. cit., p.947.
[17] Cfr. la sentenza del BverfG 25 luglio 1979 un NJW 1979, 1225, segnalata anche da PRINCIGALLI, Chirurgia estetica e responsabilità civile, in Foro it., 1986, I, 123.
[18] Cour de Cassation, premier Chambre civile, 26 marzo 1996 in J.P.G., 1996, I, 3985; Cour de Cassation, 14 febbraio 1961 in J.C.P., 1961, 12129. Cfr. PRINCIGALLI, op. cit., 123.
[19] Cfr. a
titolo di completezza Cass. 25 novembre 1994, n.10014, cit.
[20] Cfr. APP. Bologna, 21 novembre 1996, cit.
[21] BISCONTINI G., Onerosità, gratuità e corrispettività. Il problema della qualificazione giuridica dei contratti, Milano, 1992, p.45.
[22] Cfr. Cass. 25 novembre 1994 n.10014 cit.
[23] Cfr. Cass. 29 marzo 1976, n.1132, in Giur. It., 1977, I, 1, c.1980; Cass. 26 marzo 1981 n.1773 cit.
[24] Cfr. Trib. Milano 4 gennaio 1993, in Banca Borsa, 1994, II, p.61.
[25] Cass. 2 giugno 1995, n.6201, in Giust. Civ., 1996, I, 455; Trib. Roma 10 aprile 1995 in Riv. Dir. Civ., 1996, p.460 con nota di Criscuolo; Cass 10 giugno 1991, n.6570 in Giust. Civ. 1992, I, 1021, con nota di De Tilla.
[26] App. Bologna 26 novembre 1996 cit.; Cass. Civ. 15 gennaio 1997 n.364 cit.