Il rapporto di lavoro a tempo determinato e la nuova disciplina sanzionatoria ai sensi dell'art.12, legge 24 giugno 1997, n.196.

a cura del Dott. Maurizio Aloise

SOMMARIO: § 1. Il nuovo apparato sanzionatorio tra conversione e sanzione risarcitoria. - § 2. La continuazione del rapporto tra sanzione retributiva e trasformazione. - § 3. La natura della sanzione risarcitoria tra innovazione normativa e problemi interpretativi. - § 4. La riassunzione con contratto a termine e la trasformazione "ex nunc" del rapporto di lavoro. - § 5. I problemi interpretativi dell'ultimo inciso dell'art.12: le due assunzioni successive e la trasformazione "ex tunc" del rapporto di lavoro. Conclusioni. Note. Bibliografia.

 

§ 1. Il nuovo apparato sanzionatorio tra conversione e sanzione risarcitoria.

L'art.12 della legge 24 giugno 1997, n.196 introduce una nuova disciplina sanzionatoria del contratto di lavoro a tempo determinato, in attuazione dell'accordo trilaterale sull'occupazione del 24 settembre 1996(1). La norma in questione sostituisce unicamente il comma 2, dell'art.2 della legge 230/1962 nell'ambito di un ben più ambizioso progetto che il Governo ha cercato di perseguire senza successo.

Secondo l'originaria versione del progetto di legge governativo n.1918 la nuova disciplina sanzionatoria del contratto di lavoro a tempo determinato introdotto dalla legge 24 giugno 1997, n.196, in attuazione dell'Accordo trilaterale sull'occupazione del 24 settembre 1996, una maggiore duttilità nell'utilizzo della figura del contratto in questione, sarebbe dovuta scaturire dalla riformulazione dell'art.1, comma 3, legge 230/1962, secondo una previsione che "pur mantenendo la trasformazione automatica del contratto a termine per il caso di mancata osservanza della forma scritta escludeva esplicitamente il ricorso a tale misura nel caso di fissazione del termine fuori dei casi consentiti"(2).

In tale ipotesi, infatti, il disegno di legge presentato dal Governo al vaglio delle due Camere "prevedeva l'obbligo del datore di lavoro di corrispondere al dipendente una maggiorazione retributiva e contestualmente di versare una consistente sanzione amministrativa" (3).

Durante il corso dei lavori preparatori che hanno scandito l''iter parlamentare del c.d. pacchetto Treu, le posizioni garantistiche assunte dalle parti sociali nei confronti del lavoratore hanno prevalso sulla "scelta legislativa di privilegiare le esigenze di flessibilità del mercato"(4).

La disposizione, così come predisposta dal Governo, infatti, non ha trovato l'appoggio compatto, in sede di concertazione, delle parti sociali e delle stesse forze che nell'Aula parlamentare sostenevano il Governo.

Nella premessa (5) all'accordo per il lavoro del settembre 1996, il Governo aveva espressamente dichiarato l'intenzione di adottare "un nuovo modello sanzionatorio per il contratto a termine che riservi la tradizionale e rilevante sanzione (quella della conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro) solo ai casi di violazioni gravi (mancanza di forma scritta, prosecuzione del rapporto per un tempo significativo alla scadenza del termine); nelle altre situazioni di errore formale invece sarà prevista una sanzione esclusivamente risarcitoria il cui ammontare andrà correlato alla durata del rapporto"(6).

Dunque, nelle linee di riforma tracciate da Governo e parti sociali, la trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato (espressamente considerata la sanzione più <<tradizionale e rilevante>>) veniva riservata solamente a quelle "violazioni gravi"(7), intendendo come tali, da una parte, l'inosservanza delle prescrizioni di forma (cioè l'assenza della forma scritta nell'apposizione del termine finale) e dall'altra, la protrazione del rapporto oltre un <<significativo>> lasso di tempo dopo la scadenza del termine inizialmente fissato tra le parti o successivamente prorogato.

Negli altri casi riguardanti violazioni ritenute di minore importanza l'Accordo del settembre 1996, ritiene che debba essere applicata una misura più lieve individuata in una sanzione esclusivamente risarcitoria. In coerenza con tale premessa il disegno di legge governativo conteneva una disposizione che riduceva drasticamente l'area di applicazione della sanzione consistente nella trasformazione del rapporto. Questa disposizione, tuttavia, non ha trovato l'appoggio compatto delle forze che sostenevano il Governo.

La disposizione contenuta nell'art.12 del provvedimento normativo passato al vaglio delle due Camere, interamente dedicato alla nuova disciplina sanzionatoria del contratto di lavoro a tempo determinato si limita a riscrivere unicamente la disciplina delle sanzioni applicabili ai casi di prosecuzione del rapporto oltre la scadenza del termine dedotto in contratto nonché delle successive assunzioni e riassunzioni in frode alla legge, abbandonando il proposito di far cadere l'istituto classico della "conversione" del rapporto di lavoro nelle ipotesi di irregolarità sostanziali (apposizione del termine fuori dei casi previsti dalla legge). Ciò, con molta probabilità, perché le norme che pongono i requisiti sostanziali, a differenza di quelle relative alle vicende del suo svolgimento, integrano, sotto il profilo normativo, i presupposti del fenomeno di elusione delle norme maggiormente protettive dei prestatori di lavoro a termine.

Secondo la nuova formulazione dell'art.2, legge 230 del 1962, come sostituito dal citato art.12 legge 196/1997, "la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato è riservata espressamente e prioritariamente a due casi che si aggiungono alla carenza di forma scritta"(8). I due casi in discorso sono:

a) il caso in cui <<il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, ... oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero oltre il trentesimo negli altri casi ...>>>.

b) il caso in cui <<il lavoratore venga riassunto a termine entro un periodo di dieci giorni ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata, rispettivamente, inferiore o superiore ai sei mesi>>, nonché <<quando si tratti di due assunzioni successive a termine>>.

Come è evidente, il legislatore ha, comunque, inteso ridurre drasticamente l'area di applicazione della sanzione consistente nella trasformazione del rapporto, ritenuta la sanzione tradizionale e rilevante, conferendo alla disciplina sanzionatoria una maggiore elasticità ancorché compensata da inasprimenti di carattere economico.

In tal modo si è giunti, comunque, ad introdurre una certa flessibilità nel vecchio impianto (9).

Circa l'ipotesi sub a), il sistema introdotto dal legislatore del 1997 è indubbiamente un sistema graduato e proporzionato al tempo di protrazione del rapporto attraverso l'inserimento di un "periodo di tolleranza durante il quale il contratto non viene ancora trasformato a tempo indeterminato ma durante il quale trovano applicazione a carico del datore di lavoro degli aggravi retributivi"(10) previsti dalla norma.

Ne deriva che la sfera di applicabilità della sanzione della trasformazione rimane applicabile alle sole ipotesi di particolare gravità consistenti nella prosecuzione del rapporto di lavoro oltre quel margine di ragionevolezza fissato dal legislatore ed oltre il quale il comportamento del datore di lavoro, lungi dall'essere tollerato, viene ritenuto socialmente riprovevole.

Un ulteriore carattere di particolare interesse della disciplina sanzionatoria introdotta dalla legge 196/1997 in tema di prosecuzione del rapporto di lavoro, riguarda il "momento di operatività della trasformazione la cui efficacia viene ora stabilita in linea generale a differenza di quanto avveniva in precedenza ex nunc e non ex tunc"(11). La nuova disposizione stabilisce, infatti, che nel caso in cui il rapporto di lavoro si protragga oltre i termini stabiliti dalla legge che delimitano il c.d. periodo di tolleranza in ordine al quale si applica la sanzione retributiva, <<il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini>>. Anche per tale via, dunque, il legislatore ha voluto aprire la disciplina sanzionatoria in una direzione che, se da una parte è meno garantista per il lavoratore, dall'altra è indubbiamente maggiormente in linea con quelle esigenze di "promozione di una maggiore flessibilità nell'utilizzo del contratto a termine"(12).

Su tali tematiche nonché sulle tematiche relative alla natura delle sanzioni economiche ci soffermeremo con un più ampio approfondimento nei paragrafi seguenti.

Circa l'ipotesi sub b) ovvero nel casus legis del lavoratore assunto in fasi successive entro un certo periodo di tempo, nonché nel caso di due assunzioni con contratto a termine, occorre dividere la disposizione normativa dell'art.12 in due parti:

a) la prima riguardante l'ipotesi di riassunzione a termine del lavoratore entro un periodo di dieci o venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata rispettivamente inferiore o superiore a sei mesi;

b) la seconda, descritta al quarto ed ultimo periodo dell'art.12 riguarda l'ipotesi di <<due assunzioni successive a tempo determinato>> e nel silenzio del legislatore dovremo dedurre comunque intervallate.

Tra le varie disposizioni contenute nel testo legislativo in commento quella relativa all'ipotesi di successione di due o più contratti a termine qui considerata costituisce senz'altro quella che desta maggiori perplessità e dubbi interpretativi.

Prevedendo l'applicazione della medesima sanzione consistente nella trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato in entrambe le ipotesi ma con un diverso momento di operatività (nel primo caso la trasformazione decorre dalla data del secondo contratto mentre nel secondo caso la decorrenza è ancorata alla data di stipulazione del primo contratto), la disposizione de qua impone di individuare un differente campo di applicazione della norma nelle due ipotesi considerate.

L'ultimo periodo della norma in questione concernente le <<due assunzioni successive>>, il quale deve necessariamente trovare un proprio spazio di applicazione distinto da quello sotteso dal periodo che lo precede, impone all'interprete di individuare, nel suo ambito, una serie di ipotesi diverse da quelle riconducibili alla disposizione precedente, per cui sorge l'esigenza di una non facile coordinazione tra i due periodi della norma in questione. Come è stato ben sottolineato dalla dottrina, infatti, la "differenza tra i due passaggi non è ben individuabile"(13).

Tuttavia, appare chiaro come, anche per tale ipotesi, il legislatore apre una breccia nel vecchio sistema che, come è noto, si incentrava sulla previsione dell'unica ed automatica sanzione della "conversione" del rapporto di lavoro, in ogni caso ex tunc. L'unica differenziazione a cui, in tale sistema, era pervenuta la giurisprudenza di legittimità nell'evoluzione dell'istituto era quella corrente tra ipotesi in cui, attraverso una concezione oggettiva della frode, la sanzione veniva applicata in forza di una presunzione assoluta, ed ipotesi in cui la frode doveva essere accertata nella dinamica processuale (presunzione relativa).

Nel complesso, dunque, il nuovo apparato sanzionatorio, ancorché tra luci e ombre che spetterà alla giurisprudenza dissipare, appare in linea comunque con l'intento che ha ispirato il legislatore.

A conferma di ciò, vale il parallelo con l'analogo sistema sanzionatorio, adottato in materia di lavoro temporaneo all'art.10 della stessa legge, laddove si prevede una combinazione, del tutto analoga a quella considerata, tra sanzione risarcitoria e trasformazione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato ogni qual volta si verifichi una delle situazioni legislativamente previste(14). Anche in tale ultima disposizione, infatti, l'aspetto occupazionale e le sua esigenze di flessibilità incidono sui modelli del rapporto determinando il nuovo assetto dei vari interessi contrapposti con il fine di evitare quel carattere di rigidità che aveva caratterizzato la precedente disciplina con la conseguente fragilità e inaccessibilità degli strumenti adottati (15).

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§ 2. La continuazione del rapporto tra sanzione retributiva e trasformazione.

Venendo ora all'analisi più approfondita della nuova disciplina sanzionatoria nell'ipotesi in cui il rapporto di lavoro si protrae oltre la scadenza inizialmente fissata o successivamente prorogata, occorre, preliminarmente, rilevare come il legislatore abbia inteso, in parte qua, <<saggiamente>>, conferire al disposto normativo quel carattere di elasticità che consente al datore di lavoro quel minimo differimento del termine necessario a far fronte ad eventuali esigenze dell'organizzazione aziendale escludendo l'applicazione incondizionata della sanzione della conservazione (come era nel sistema previgente in cui detta sanzione era l'unica prevista ogni qual volta il rapporto di lavoro continuasse, anche per un tempo minimo, dopo la scadenza del termine ed a prescindere, in ogni caso, dal tempo della protrazione, per cui la legge comminava l'applicazione "della sanzione massima anche per la violazione minima") (16).

Come è stato rilevato l'eccessiva rigidità della disciplina sanzionatoria recata dal vecchio impianto della legge 230/1962 comportava l'impossibilità del datore di continuare ad usufruire della prestazione lavorativa del lavoratore assunto a termine anche per un solo giorno dopo la scadenza del termine per far fronte ad esigenze dell'azienda o gestire eventuali code di lavoro, magari riferite all'oggetto del contratto scaduto senza l'onere di stipulare un contratto di proroga(17).

Ciò in quanto il modello sanzionatorio fatto proprio dalla legge 230/1962 si ispirava ad un criterio uniforme dal quale scaturiva la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato per tutte e tre le ipotesi richiamate (continuazione del rapporto dopo la scadenza del termine e reiterazione dell'assunzione a termine suscettibile di dare luogo a seconda dei casi ad un'ipotesi di presunzione assoluta o di presunzione relativa di frode). La previgente disciplina sanzionatoria, dunque, risultava "sorda ad eventuali esigenze dell'organizzazione"(18) che avrebbero potuto richiedere un minimo differimento del termine (ad esempio nel caso previsto dall'art.1, lett. b), legge 230/1962, quando si tratti di assunzioni per la sostituzione di lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, può essere utile all'imprenditore consentire con piena tranquillità il passaggio delle consegne al rientro del lavoratore sostituito per smaltire eventuali code di lavoro).

Con la nuova disciplina è stato riconosciuto al datore di lavoro "un ragionevole margine di flessibilità, in grado di metterlo al riparo dall'applicazione della sanzione massima a fronte di una prosecuzione del rapporto di lieve entità"(19) spesso legata a fattori sempre più frequenti nella complessa realtà produttiva dell'economia moderna.

Con l'introduzione della nuova disposizione, il legislatore "dando prova di buon senso"(20) - introducendo l'obbligo per il datore di lavoro di corrispondere al lavoratore, nel caso di protrazione del rapporto di lavoro oltre la scadenza del termine ma entro un periodo c.d. di tolleranza, una maggiorazione retributiva commisurata, come si vedrà, all'entità della protrazione - garantisce le suddette esigenze di elasticità evitando di rimetterne la valutazione agli interventi correttivi della giurisprudenza (21).

In tal modo infatti, la continuazione del rapporto, nel caso in cui non sussistano gli estremi per far ricorso alla proroga ex art.2, comma 1 (rimasto invariato), non è stata puramente ed esplicitamente legittimata anche se, come è stato notato dalla dottrina più attenta, la soluzione adottata dal legislatore "è la meno condivisibile dal punto di vista sistematico"(22), posto che, in tal modo, si finisce per far gravare sul datore di lavoro un maggiore onere per far fronte a quelle esigenze di flessilibizzazione che con detta legge si è inteso attuare.

Ma l'incongruenza è solo apparente ove si consideri che, il comportamento del datore di lavoro, tenuto alla maggiorazione retributiva, riceve, pur sempre, una valutazione illecita dovendosi la minore rigidità ascrivere solo alle "modalità applicative della sanzione della conversione in contratto a tempo indeterminato che è stata conservata"(23) oltre il ragionevole margine di flessibilità voluto dal legislatore con la conseguenza che "anche la maggiorazione retributiva risulta concepita in una logica di sanzione di un comportamento datoriale comunque considerato illecito"(24).

Nell'ipotesi di prosecuzione del rapporto di lavoro oltre la scadenza iniziale o successivamente prorogata la sanzione pecuniaria, sulla cui natura sarà incentrato il discorso nel paragrafo seguente, trova applicazione entro un periodo massimo di venti giorni (in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi) oltre il quale si ritorna alla conversione ex lege secondo la tradizionale logica della sostituzione legale delle norme imperative di legge alla difforme volontà delle parti cui ha sempre fatto ricorso la giurisprudenza di legittimità(25) ed autorevole dottrina(26).

Le nuove disposizioni di legge, quindi, continuano a tutelare la posizione del lavoratore in termini di stabilità di impiego prevedendo che il perdurare di una situazione anomala quale la prosecuzione oltre certi termini si traduca in una grave violazione che comporta l'applicazione della sanzione della trasformazione ancorché dalla scadenza dei suddetti termini.

Come si è detto, però, il <<momento di operatività>> della trasformazione viene differito dal legislatore, dalla data di inizio del rapporto, come era previsto dalla precedente disciplina, alla data di scadenza dei suddetti termini menzionati dalla norma con la conseguenza che la trasformazione diviene operante ex nunc e non più ex tunc. È fuor di dubbio che una tale previsione costituisce un'innovazione di non scarso rilievo rispetto alla disciplina previgente(27).

Due sanzioni dunque, che, se possono sembrare, ictu oculi, di agevole applicazione, si presentano al vaglio della giurisprudenza con una difficile coordinazione posto che il legislatore nulla ha disposto in ordine alla possibile sovrapposizione di esse che può verificarsi qualora il rapporto riprenda con una nuova assunzione entro quel margine di tolleranza fissato ope legis e sanzionato con la maggiorazione retributiva. In tal caso, infatti, si profila la possibilità che il datore di lavoro subisca l'applicazione di una doppia sanzione: quella retributiva per il periodo che va dalla scadenza del contratto alla maturazione dei termini che delimitano il c.d. periodo di tolleranza (20 o 30 giorni); nonché quella della trasformazione dalla data del secondo contratto. Ebbene, siccome tale data, nel caso considerato, cade all'interno del suddetto periodo, il problema che si pone è quello di stabilire se continui a trovare applicazione la sanzione retributiva fino alla scadenza dei termini fissati dalla legge anche se in pendenza di essi il rapporto si sia già trasformato a tempo indeterminato perché è intervenuta la seconda assunzione.

In dottrina è stato sottolineato che dal momento in cui diviene operativa la trasformazione non dovrebbero essere più dovute le maggiorazioni retributive previste dalla norma(28) dato che la sanzione economica è, comunque, correlata ad una effettiva prestazione lavorativa non supportata da alcuna presunzione di legge(29). Ciò sembra, tra l'altro, la soluzione che maggiormente risulta conforme alla logica sanzionatoria che ha ispirato il legislatore ove si consideri che la stessa legge dispone la trasformazione del rapporto di lavoro, qualora esso si protragga oltre il periodo di tolleranza, dalla scadenza dei suddetti termini e non già retroagendo alla scadenza del primo contratto.

Sul punto occorre notare come la scelta legislativa sia coerente con le posizioni espresse dalla stessa legge all'art.10 in tema di lavoro temporaneo(30) laddove adottando un "sistema sanzionatorio del tutto analogo - basato cioè sulla combinazione tra sanzione risarcitoria e trasformazione del contratto a tempo indeterminato"(31), il legislatore sembra prender coscienza di un fenomeno che può entro certi limiti essere considerato fisiologico(32).

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§ 3. La natura della sanzione risarcitoria tra innovazione normativa e problemi interpretativi.

Come si è detto, una rilevante novità contenuta nell'art.12 della L.196/1997 consiste nell'aver introdotto accanto alla trasformazione in via sanzionatoria del contratto a termine, una misura di tipo economico, compatibile con la persistenza del rapporto(33), consentendo un margine di tolleranza necessario a conferire quel carattere di flessibilità allo strumento del contratto di lavoro a tempo da più parti invocato(34).

L'attuale apparato sanzionatorio introduce "un sistema graduato e proporzionato al tempo di protrazione del rapporto di lavoro dopo la scadenza del termine" (35), che prevede una maggiorazione retributiva per l'ipotesi in cui il rapporto continui dopo la scadenza del termine, con funzione sostanzialmente sanzionatoria(36).

L'entità della sanzione economica viene correlata alla durata del periodo di protrazione del rapporto dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente (legittimamente) prorogato - e fino alla maturazione dei cc.dd. termini di tolleranza - assumendo come parametro in misura percentuale l'ammontare della retribuzione.

La norma in questione stabilisce infatti che <<Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno successivo, al 40 per cento per ciascun giorno ulteriore...>> e fino al ventesimo giorno, <<in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero al il trentesimo negli altri casi>>, dopo di che se il rapporto di lavoro prosegue oltre, scatta la misura della "conversione" <<dalla scadenza dei predetti termini>>.

Si è già rilevato come l'accavallamento della due sanzioni importi dei problemi interpretativi di non facile soluzione, mentre un ulteriore problema interpretativo sorge nel caso in cui il rapporto continui oltre il termine legittimo ma per un periodo inferiore al giorno di modo che diventa difficile determinare la misura della retribuzione cui ancorare in percentuale l'entità della sanzione economica da applicare.

Sul punto, la dottrina ha già prospettato due chiavi interpretative per risolvere il problema:

a) da una parte si potrebbe osservare che la scelta legislativa di ancorare la maggiorazione retributiva alla retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore vada interpretata nel senso di ritenere che lo stesso legislatore abbia preferito, come linea metodologica, far combaciare la misura sanzionatoria con un'effettiva prestazione lavorativa ritenendo plausibile secondo questa tesi che la maggiorazione retributiva debba essere commisurata alle ore effettivamente lavorate(37);

b) un'altra tesi prospettata in dottrina propende per la determinazione, in tal caso, della sanzione retributiva in misura forfettaria per cui si dovrebbe ritenere dovuta una maggiorazione retributiva parametrata sempre alla retribuzione dovuta per un giorno lavorativo anche per periodi di tempo inferiori al giorno.

Ma tale ultima soluzione sembra la meno plausibile dal punto di vista sistematico nonché quella che meno si conforma alla logica ed allo spirito della legge. Non può mettersi in secondo piano il chiaro intento del legislatore di considerare le somme che il datore di lavoro sarà tenuto a pagare a titolo di sanzione come aventi la stessa natura della retribuzione ovvero come somme percepite dal lavoratore e sottoposte allo stesso trattamento normativo della retribuzione con la conseguente applicabilità della stessa disciplina per quanto riguarda gli oneri contributivi nonché il T.f.r. (trattandosi di prestazione non occasionale) ed ogni altro riflesso indiretto.

Ragionando in termini di politica legislativa, l'introduzione di una sanzione di tipo economico mira, senza dubbio, a soddisfare quelle esigenze di maggiore elasticità perseguite dal legislatore con la legge 196/1997 sotto la spinta della dottrina prevalente che già da tempo aveva evidenziato una lacuna, sul piano sanzionatorio, nella legge 56/1987 sottolineando l'opportunità di adottare una sanzione di tipo economico onde eliminare "l'atteggiamento ambivalente del legislatore nei confronti delle forme di occupazione flessibile che si vuole ad un tempo incoraggiare e controllare"(38). Da qui l'esortazione ad "adottare una misura che non penalizzi in modo eccessivo lievi scostamenti dal quadro legale"(39).

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§ 4. La riassunzione con contratto a termine e la trasformazione "ex nunc" del rapporto di lavoro.

Seguendo il vecchio sistema sanzionatorio, con cui il legislatore del 1962, introduceva come "sanzione unica e generale l'automatica conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato"(40), la giurisprudenza aveva tracciato sulla base del dettato normativo, una chiara distinzione tra le ipotesi in cui veniva posta una presunzione iuris et de iure secondo cui la riassunzione del lavoratore anticipata rispetto agli intervalli di tempo previsti dalla legge comportava che il rapporto di lavoro dovesse reputarsi a tempo indeterminato sin dalla data della prima assunzione(41); e le ipotesi in cui l'intento fraudolento, anziché essere presunto in via assoluta, doveva essere accertato nella dinamica processuale per l'applicabilità della medesima sanzione(42).

Il primo caso riguardava la successione di assunzioni a termine entro il periodo indicato dalla legge (15 o 30 giorni) mentre il secondo, le ipotesi di <<assunzioni successive a termine intese ad eludere le disposizioni della presente legge>> ed a prescindere da ogni riferimento temporale o cronologico.

La nuova disposizione, introdotta con l'art.12 legge 196/1997, ridisciplina "in modo più elastico e dettagliato"(43) l'apparato sanzionatorio del lavoro a termine anche per il caso di successive assunzioni non conformi al dettato legislativo consentendo una gestione più flessibile del contratto a termine nel mercato del lavoro(44).

L'art.2, comma 2, legge 230/1962, è stato, infatti, modificato dal citato art.12, nel modo seguente: <<Qualora il lavoratore venga riassunto a termine entro un periodo di dieci giorni ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata, rispettivamente, inferiore o superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Quando si tratti di due assunzioni successive a termine, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto>>.

Ebbene, quanto all'ipotesi di successione di assunzioni entro il periodo di tempo fissato dalla legge, le nuove disposizioni mantengono il meccanismo della presunzione assoluta di frode ma introducono due alleggerimenti rispetto alla disciplina precedente: da una parte si riduce l'arco temporale all'interno del quale opera detta presunzione; dall'altra, si prevede che la trasformazione, in tal caso, operi non più ex tunc ma ex nunc ovvero non più, come era nella disciplina precedente, dalla data di inizio del primo rapporto ma dalla data della seconda assunzione, rectius, del secondo contratto.

È facile osservare, dunque, che resta invariata, in buona sostanza, la previsione normativa in ordine al tipo di sanzione comminata in tal caso dal legislatore posto che la vera innovazione normativa riguarda solo il momento in cui detta sanzione diviene operativa. In tal modo, il Governo ha dato puntuale attuazione alle precise indicazioni contenute nell'Accordo sul lavoro siglato con sindacati e parti sociali recependo nel contempo gli impulsi di un certo orientamento giurisprudenziale, oramai divenuto prevalente, che già da tempo aveva sottolineato l'esigenza di ridurre la rigidità del vecchio sistema onde rimediare a quelle forzature cui la stessa giurisprudenza era dovuta pervenire per risolvere con equità particolari aspetti del rapporto di lavoro.

Le più recenti soluzioni giurisprudenziali, infatti, in ordine ai problemi, rimasti ancora aperti, nella materia de qua vanno nella direzione di una rilettura delle vecchie norme più sensibile alle esigenze delle imprese data la difficoltà di queste ultime di conservare margini di competitività sui mercati internazionali nonché la profonda crisi occupazionale che attraversa il Paese e l'Europa in generale(45).

Uno dei problemi che più volte è stato portato all'attenzione dei giudici di legittimità inducendoli ad esortare il legislatore ad introdurre una disciplina dotata di minor rigidità, concerne la retribuibilità dei periodi non lavorati tra un rapporto di lavoro e quello successivo nell'ipotesi di "conversione" ex tunc in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato dei diversi rapporti a termine che si sono succeduti ad intervalli inferiori rispetto a quelli previsti dalla legge. Una recente sentenza della Cassazione, che si è pronunciata a Sezioni Unite(46) (su cui ci siamo già soffermati) ha, infatti, ribadito il principio per cui si deve negare il diritto alla retribuzione ed il ricorso all'anzianità nei periodi intercorrenti tra un contratto a termine e l'altro anche nelle ipotesi di loro riconduzione ad un unico rapporto a tempo indeterminato finendo per attenuare la valutazione negativa dell'uso illegittimo del termine finale del rapporto. Ciò in quanto, non perché questi periodi rappresentano sospensioni concordate del rapporto ma perché difettano di un'effettiva prestazione lavorativa, viene meno il necessario sinallagma funzionale rispetto all'obbligazione retributiva, salva l'effettiva messa a disposizione da parte del lavoratore delle proprie energie lavorative(47).

La nuova disciplina pone, dunque, fine a tale dibattito stabilendo che la trasformazione del rapporto non retroagisce alla data del primo rapporto ma decorre dalla data in cui è stato stipulato il secondo contratto con la conseguenza che il periodo tra una assunzione e l'altra in nessun caso può ritenersi retribuibile se non nel caso in vi sia stata un'effettiva prestazione lavorativa. Ma in tale ultima evenienza la retribuzione sarà dovuta in forza della diversa e ben precisa disposizione normativa adottata per l'ipotesi di prosecuzione del rapporto di lavoro la quale prevede, vieppiù, che detta retribuzione debba essere maggiorata dando luogo alla più volte accennata sanzione economica.

Più problematica, come si vedrà nel paragrafo seguente, è l'interpretazione dell'ultimo periodo introdotto dall'art.12, legge 196/1997, che prevede l'ipotesi in cui successivamente alla scadenza del primo contratto il rapporto di lavoro riprenda con due successive assunzioni stabilendo in tal caso la trasformazione ex tunc del rapporto medesimo.

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§ 5. I problemi interpretativi dell'ultimo inciso dell'art.12: le due assunzioni successive e la trasformazione "ex tunc" del rapporto di lavoro.

Come si è detto la legge 196/1997, nella parte in cui prevede, all'art.12, che <<Quando si tratti di due assunzioni successive a termine, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto>>, introduce una disposizione di non facile lettura ove si consideri, tra l'altro, che non del tutto agevole è il coordinamento di tale disposizione con quella contenuta nel periodo precedente della stessa norma.

Risulta di difficile comprensione, infatti, "come mai in caso di <<due assunzioni successive a termine>> la trasformazione avvenga <<dalla data di stipulazione del primo contratto>> (art.12 quarto periodo) mentre nel caso di riassunzione a termine entro dieci (o venti) giorni dalla scadenza del primo contratto a termine, sia il secondo contratto a doversi considerare a tempo indeterminato (art.12 terzo periodo)"(48).

La differenza tra questi due passaggi dell'art.12 non è ben individuabile. Non è facile, infatti, stabilire cosa il legislatore abbia voluto intendere per <<due successive assunzioni>> e quale sia la ratio della norma laddove determina la decorrenza della trasformazione in contratto a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

Esaminando i lavori preparatori che hanno accompagnato il varo del testo legislativo emerge che nella versione originaria del disegno di legge presentato alle Camere da parte dell'Esecutivo veniva mantenuta ferma la trasformazione del contratto a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato in entrambe le ipotesi considerate dalla legge con decorrenza dalla data di stipulazione del secondo contratto mentre per ciò che attiene l'individuazione delle fattispecie considerate il quarto periodo dell'art.12 faceva riferimento alle ipotesi di assunzioni successive caratterizzate da un intento fraudolento a prescindere da ogni riferimento cronologico e mantenendo l'inciso, già contenuto nell'art.2, legge 230/1960, che si riferiva a due assunzioni a termine <<intese ad eludere le disposizioni della presente legge>>.

Così formulata la norma denotava il chiaro intento del Governo che, ponendosi nel solco dell'originaria formulazione dell'art.2 legge 230/1962, riaffermava la ricostruzione della norma in questione come <<clausola di chiusura>> del sistema sanzionatorio(49) al fine di coprire tutte le possibili assunzioni compiute in frode alla legge, non dettagliatamente individuate dallo stesso art.12 sulla scorta dell'elemento cronologico, rimettendo al lavoratore l'onere di provare l'intento fraudolento (e dunque al di fuori di qualsivoglia presunzione assoluta).

Caduto il riferimento alle due assunzioni a termine <<intese ad eludere le disposizioni della presente legge>>, l'art.12 si presenterebbe come una mera "riformulazione, con contenuti normativi immutati, di quella già prevista nella legge n.230 del 1962"(50).

Ma, in conseguenza dell'infelice manipolazione, che ha lasciato cadere il predetto riferimento, il testo legislativo si presenta con una formulazione alquanto approssimativa denotando una certa ambiguità suscettibile di ingenerare qualche equivoco in sede interpretativa, non consentendo un'interpretazione univoca.

Si prospettano, dunque, diverse possibili soluzioni interpretative, sia in ordine all'individuazione delle due assunzioni menzionate dalla norma sia in ordine al riferimento alla prima stipulazione da cui la norma stessa fa decorrere la trasformazione della pluralità di assunzioni in frode alla legge che si sono succedute, in un unico rapporto a tempo indeterminato.

In ordine al primo punto, ovvero circa l'identificazione delle <<due assunzioni>> cui fa riferimento la norma, si potrebbe sostenere che il riferimento legislativo sia diretto a sanzionare, come si è detto, tutte quelle ipotesi che nonostante l'apparenza formale di conformità alla legge, sfuggono alla dettagliata formulazione delle disposizioni precedenti, e nelle quali l'anomalia va ravvisata non nel singolo contratto bensì nel fatto che la loro considerazione unitaria evidenzia una protrazione del rapporto di lavoro per un periodo più lungo rispetto alla durata stabilita dalla legge per ciascun singolo rapporto ancorché in regime di proroga(51).

Seguendo una tale impostazione, dunque, la legge avrebbe semplicemente ribadito il principio generale della nullità delle successive assunzioni a termine in frode alla legge(52) con la conseguenza che si giungerebbe all'assurdo risultato di far <<resuscitare>> quella parte del precetto contenuto nell'art.2 (legge 230/1962) e non inserito nell'art.12 (legge 196/1997) perché caducato nel corso dell'iter parlamentare con la chiara intenzione di voler abrogare detta previsione.

Una tale ricostruzione, quindi, si pone in contrasto proprio con la circostanza che il riferimento all'intento elusivo, ben presente nella precedente disciplina e più volte riaffermato dalla giurisprudenza(53), è stato deliberatamente cancellato attraverso l'approvazione nell'aula legislativa di un emendamento che non riproduce la parte classica del precetto. Se, infatti, il legislatore avesse voluto mantenere la situazione nei termini originariamente fissati dal legislatore del 1962 si sarebbe limitato, rigettando sotto questo profilo la proposta modificativa avanzata dal Governo, a modificare sic et simpliciter il dies a quo della trasformazione del contratto.

Secondo una diversa interpretazione parrebbe, invece, che l'ultimo periodo dell'art.12 si ponga su un piano diverso da quello su cui porre l'inciso contenuto nel precedente terzo periodo di modo che esso disciplinerebbe l'ipotesi in cui "il datore di lavoro riassume a termine lo stesso lavoratore per due volte successive alla prima, senza rispettare gli intervalli di tempo"(54). Ne deriverebbe che in caso di un'unica riassunzione senza il rispetto dei termini di legge, scattano solo le maggiorazioni retributive mentre se le riassunzioni senza i termini di legge sono due o più è prevista la più grave sanzione della conversione automatica in contratto a tempo indeterminato fin dalla stipulazione del primo contratto. In tal caso, l'inasprimento sanzionatorio sembra doversi giustificare in ragione dello sfavore con cui il legislatore si è posto verso il comportamento illegittimo tenuto dal datore di lavoro reiteratamente(55). Secondo i sostenitori di tale teoria, tra le varie interpretazioni possibili, questa sarebbe l'unica in grado di "individuare un collegamento tra il penultimo e l'ultimo periodo dell'art.12, completando così il quadro delle possibili ipotesi"(56) senza incorrere in contraddizioni o duplicazioni. In questa prospettiva, dunque, si giungerebbe "al risultato di circoscrivere notevolmente la portata dell'ultimo periodo dell'art.12 evitandone così una lettura eccessivamente ampia e radicale che proibisca al datore di lavoro di assumere due volte a termine lo stesso lavoratore"(57). In tal modo il datore di lavoro resta libero di procedere a tutte le successive a termine che vuole purché rispetti gli intervalli di tempo tra i successivi contratti prefissati dalla legge ben consapevole che la violazione dei suddetti termini nel caso di una sola successiva assunzione comporterà la trasformazione ex nunc del rapporto mentre qualora la stessa violazione sia ripetuta troverà applicazione la più grave sanzione della trasformazione ex tunc. In estrema sintesi, seguendo il percorso interpretativo indicato si giunge a ricostruire l'intero apparato sanzionatorio così come integrato dalla novella del 1997 su tre livelli diversi cui corrispondono tre diverse espressioni di una valutazione legale che prevede un graduale e proporzionato inasprimento sanzionatorio.

Sul primo livello dovrà porsi l'ipotesi in cui il rapporto semplicemente prosegue dopo la scadenza ma resti temporalmente circoscritto all'interno del c.d. periodo di tolleranza per cui si avrà l'applicazione della sola sanzione retributiva.

Sul secondo livello vanno collocate le ipotesi in cui il rapporto di lavoro prosegua oltre il suddetto periodo ovvero riprenda ad avere corso, dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, con una nuova assunzione nel termine di dieci (o venti) giorni seguenti nel qual caso si avrà la conversione del rapporto non più ex tunc bensì ex nunc.

Sul terzo gradino, che esprime il più alto sfavore legislativo verso le violazioni della disciplina legale del lavoro a termine, si pone l'ipotesi considerata dall'ultimo periodo dell'art.12 che prevede il caso in cui al primo rapporto, estinto per scadenza del termine, seguano due successive assunzioni a termine effettuate sempre entro dieci (o venti) giorni successivi alla scadenza nel qual caso troverà applicazione la più incisiva sanzione della trasformazione ex tunc ritenuta il rimedio più adeguato ad un comportamento illecito consapevole e reiterato e per questo socialmente meno tollerabile.

Secondo un'altra interpretazione possibile, applicando le regole ermeneutiche dell'interpretazione letterale e seguendo rigorosamente la logica grammaticale, le due assunzioni successive a termine sarebbero in verità la seconda e la terza. In altri termini il legislatore avrebbe voluto creare una presunzione assoluta di fraudolenza della catena quando vi sia il terzo anello. Tale soluzione interpretativa, in realtà basata su una ricostruzione della norma abbastanza iperbolica, incontra insormontabili ostacoli di ordine sistematico e logico giuridico posto che in tal modo è gioco forza dedurre che il legislatore ha inteso incentivare indirettamente una ripartizione delle occasioni di lavoro a termine esprimendo un inspiegabile sfavore verso una terza assunzione sanzionata con la stabilizzazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro dalla data di stipulazione del primo contratto. Ciò è fuori di ogni logica di politica del diritto che come è noto non solo consente al datore di lavoro di assumere a termine lo stesso lavoratore tutte le volte che vuole purché nel rispetto dei termini stabiliti dalla legge ma, come si è ripetutamente sottolineato, riconosce, altresì, un diritto di precedenza del lavoratore con cui già sia intercorso un rapporto a termine, in caso di nuove assunzioni. La formula adottata dal legislatore appare senz'altro oscura ed un'interpretazione letterale della stessa, avulsa da quanto stabilito nei capoversi precedenti, sarebbe oltre che illogica, in contrasto con il carattere di minor rigidità che ha caratterizzato la riscrittura della disciplina sanzionatoria del contratto a termine(58).

C'è da osservare, tuttavia, che il Ministero del Lavoro ha fornito, nella circolare n.153/1997 (59), una propria interpretazione della norma in esame chiarendo che la locuzione <<le due assunzioni successive a termine>> per le quali si deve considerare a tempo indeterminato il rapporto di lavoro a partire dalla data di stipula del primo contratto va interpretata con riferimento alla fattispecie di due assunzioni con contratto a termine senza alcuna interruzione tra le stesse. Secondo il Dicastero, sarebbe questa l'unica interpretazione priva di contraddizioni con la disposizione immediatamente precedente riferita anch'essa a due assunzioni a termine e con la quale deve essere, pertanto, coordinata. Una tale soluzione interpretativa era stata già affacciata dalla dottrina(60) che aveva intravisto nella norma i presupposti della mancanza di soluzione di continuità con la conseguenza che "l'assoluta mancanza di intervallo meriterebbe quindi una sanzione maggiore (la trasformazione a tempo indeterminato avverrebbe a decorrere dalla prima assunzione e non più dalla seconda)"(61). Secondo una parte della dottrina, la soluzione offerta in via ministeriale appare ineccepibile giacché pienamente coerente sul piano logico-sistematico con l'impianto complessivo della legge 196/1997(62). Inoltre l'interpretazione proposta dal Ministero sarebbe ineccepibile oltre che sul piano sistematico anche sul piano letterale riferendosi alla necessaria sussistenza di due specifiche condizioni: la continuità della prestazione e la stipula di un nuovo contratto per iscritto prima della scadenza del termine altrimenti si ricadrebbe nell'ipotesi della proroga(63). Invero la soluzione prospettata parrebbe da escludere di primo acchito proprio dal momento che si riferisce ad una situazione sul piano logico già disciplinata dal periodo precedente ma potendo trovare un suo spazio con la previsione delle suddette condizioni sarebbe, tra le vare interpretazioni possibili, anche la meno dirompente rispetto al sistema(64).

Tuttavia, pur apprezzando il notevole sforzo interpretativo del Ministero che ha tentato di rimediare alle conseguenze di una norma scritta in modo essenzialmente poco chiaro, si auspica al più presto un intervento chiarificatore del legislatore per evitare di lasciare gli operatori in una <<drammatica incertezza>> che si tradurrebbe in una situazione fonte di ingiuste disparità di trattamento e, vieppiù, economicamente non conveniente(65). Come è stato rilevato, infatti, l'interpretazione proposta, pur proveniente da un'autorevole fonte, non può esser vincolante per i giudici chiamati ad applicare la norma nel caso concreto e come tali soggetti solo alla legge con la conseguenza. Lasciando alla Magistratura il compito di supplire alla carenza di un'interpretazione vincolante con la possibilità di dare letture alternative della norma si finirebbe per incorrere nel rischio di soluzioni poco sensibili alle esigenza di parità sentite dal nostro ordinamento.

Resta da chiarire, ad esempio, se quanto alle ipotesi di assunzioni a termine senza soluzione di continuità, debbano considerarsi tali solo quelle intervenute il giorno successivo alla scadenza del primo contratto od anche tutte le ipotesi di stipulazione di un successivo contratto a termine quando è ancora in corso di svolgimento il precedente oppure quando, scaduto quest'ultimo ci sia stata la prosecuzione di fatto dell'attività lavorativa. Questa seconda soluzione è
preferita da chi ritiene che, altrimenti, la norma si porrebbe in contrasto con lo spirito dell'enunciato normativo in quanto si ritornerebbe sempre nell'ipotesi di assunzioni avvenute senza il rispetto dei termini(66).

In ogni caso, qualunque sia la soluzione interpretativa che si intenda adottare sembra doversi escludere una lettura della norma tale da indurre l'interprete a penalizzare incondizionatamente ogni nuova assunzione a termine del medesimo lavoratore posto che una tale lettura oltre ad essere discutibile sotto il profilo prettamente logico-giuridico si pone in contrasto con il precetto normativo contenuto nell'art.8 bis del D.L. n.17/1983, convertito con modificazioni nella legge n.79/1983 (su cui v. retro), che riconosce al lavoratore, che abbia prestato attività lavorativa a carattere stagionale con contratto a tempo determinato, un diritto di precedenza nell'assunzione con la medesima qualifica presso la stessa azienda, con l'unica condizione che manifesti la volontà di esercitare tale diritto entro tre mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro(67). Del resto, una tale interpretazione deve essere esclusa a priori posto che con essa non può intendersi che il legislatore abbia voluto penalizzare la riassunzione del lavoratore laddove nel periodo precedente ne ha escluso l'illiceità qualora siano rispettati gli intervalli fissati dalla legge.

In conclusione, non può che evidenziarsi come, in ogni caso, senza dubbio la legge lascia aperti non pochi problemi inserendo di fatto "una delega sostanziale alla giurisprudenza cui attraverso l'interpretazione spetterà la vera definizione normativa"(68).

Venendo ora all'altro interrogativo, inerente al momento di operatività della trasformazione, su cui sarà chiamata a rispondere la giurisprudenza va segnalato che nell'ultima ipotesi testé considerata, la sanzione della conversione del rapporto, rectius dei rapporti che si sono succeduti oltre la scadenza del termine, in violazione dei limiti temporali stabiliti dal legislatore, opera retroagendo alla data della <<stipulazione del primo contratto>>. Ebbene, la dottrina, ha osservato che la terminologia adottata dal legislatore che ha preferito riferirsi al primo contratto anziché, come era previsto nel vecchio sistema dall'art.2 legge 230/1962, alla prima assunzione genera non poche perplessità ove si consideri che la stipulazione del contratto sovente precede anche di molto l'assunzione. Ciò, in attesa di un intervento chiarificatore magari ad opera dello stesso legislatore, indurrà i datori di lavoro, al fine di evitare ogni rischio, ad effettuare la stipulazione immediatamente prima dell'assunzione.

Infine, va segnalato che, pur nel silenzio del legislatore, resta pur sempre per il lavoratore la possibilità di provare la frode alla legge nel caso di assunzioni numerose anche a prescindere dagli intervalli temporali in cui si sono succedute quanto meno sulla scorta del principio generale di cui all'art.1344 c.c. Alla luce della ratio della legislazione in tema di rapporto di lavoro a termine, la cui rigorosità non si spinge fino al punto di impedire la stipulazione di contratti a tempo determinato in tutti i casi in cui la preclusione si ritorcerebbe a danno dei lavoratori, limitandone l'occupazione, con relativo ostacolo allo sviluppo delle imprese e del sistema produttivo, il giudice del merito, nel valutare (in fatto) se la stipulazione dei contratti di lavoro a termine sia avvenuta nel rispetto dei requisiti temporali stabiliti dalla legge, deve tener conto che, in linea di massima, la sussistenza dei requisiti anzidetti comporta che la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato non potrà essere ritenuta illecita per la sola previsione del termine, in mancanza della prova specifica che essi siano stati conclusi in frode alla legge (art. 1344 c. c.)(69).

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CONCLUSIONI

La legge 24 giugno 1997 n. 196 (c.d. Pacchetto Treu) costituisce il punto di approdo di un continuo processo di riforma, portato avanti da Governo, organizzazioni sindacali e rappresentanze del mondo delle imprese. Dal Protocollo del luglio '93 al Patto per il lavoro del '96, fino a giungere alla citata legge, corre un "filo continuo di coerenza" che mira a trasformare piuttosto radicalmente le regole del mercato italiano del lavoro e con esse i caratteri strutturali e, forse, le stesse finalità sociali ed istituzionali del contratto di lavoro e di quel medesimo mercato.

Un mercato che, seguendo i segni della riforma, tende a modellarsi alle sue fondamentali funzioni. Il legislatore, infatti, nel ridisegnare per alcuni tratti la disciplina del contratto di lavoro sembra aver tenuto conto delle difficoltà che l'attuale sistema, malgrado le sue rigidità, incontra nel far fronte al dilagare del fenomeno della disoccupazione che accompagna le (più o meno cicliche) crisi dell'economia nonché della difficoltà a creare nuova domanda di lavoro nelle fasi congiunturalmente più favorevoli. Del resto, nonostante il diffuso presidio di norme inderogabili di legge, quali sono quelle dettate per il contratto a termine, spesso accade che nella pratica quotidiana si giunga alla disapplicazione delle regole non rispondenti alle reali esigenze del mercato.

La minor rigidità introdotta nella disciplina sanzionatoria del contratto di lavoro a tempo determinato, con l'art. 12 della legge 196/1997, che ha modificato parzialmente l'art.2 della legge 230/1962, persegue l'intento di garantire una maggior duttilità nell'utilizzo della figura contrattuale in questione nel più ampio quadro degli obiettivi di "flessibilità" del mercato del lavoro. La "flessibilità" è stata assunta come parola - chiave del glossario delle relazioni industriali di fine millennio ed ha caratterizzato l'evoluzione del contratto di lavoro a termine a partire dalla legge 56/1987 che ha riconosciuto alle organizzazioni sindacali di pervenire ad una sostanziale deroga alla disciplina dettata nel 1962 attraverso le previsioni di ulteriori ipotesi in cui poteva essere ritenuta l'apposizione del termine al di fuori delle ipotesi individuate dalla legge. Le novità riscontrabili sul piano normativo, dopo la legge 196/1997 si rifanno ai più recenti orientamenti giurisprudenziali inclini a ridurre lo sfavore verso il contratto a termine. L'attuale apparato sanzionatorio introduce, senz'altro, un sistema graduato e proporzionato. Nelle linee di riforma tracciate del legislatore si coglie l'intento di riservare alle più gravi ipotesi di violazioni di legge la trasformazione, in via sanzionatoria, del contratto a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato (che nel vecchio sistema costituiva l'unica sanzione applicabile a prescindere da ogni valutazione in ordine a tale gravità). La trasformazione viene, infatti, considerata come la misura più "tradizionale e rilevante". La previsione di una maggiorazione retributiva nel caso di semplice protrazione del rapporto di lavoro oltre la scadenza ed entro un determinato "periodo di tolleranza, consente una gestione più flessibile del lavoro.

Il legislatore ha, in tal modo, inteso riconoscere al datore di lavoro un ragionevole margine di flessibilità in grado di metterlo al riparo dall'applicazione della sanzione massima a fronte di una violazione minima. All'insegna della flessibilizzazione del contratto a termine va letta anche la disposizione che prevede, in caso di violazioni per le quali è comminato, il ritorno alla classica misura della "conversione", ma non più ex tunc, bensì ex nunc, salvo alcuni casi previsti dalla legge.

In definitiva, la disciplina introdotta con il citato art.12, tra luci ed ombre, lascia aperti non pochi problemi, con una delega sostanziale alla giurisprudenza cui, attraverso l'interpretazione della legge, spetterà la vera definizione della normativa.

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NOTE

1.        V. in Lav. inf., 1996, nn.19-20; per un primo commento sull'intesa DELLA ROCCA, Prime considerazioni sul <<patto per il lavoro>> del 24 settembre 1996, in Dir. lav., 1996, I, 586; CENTORBI F., Note sull'accordo per il lavoro del 24 settembre 1996, in Giur. lav. Lazio, 1996, 314; FORLANI, in Lav. inf., 1996, 22, 5;

2.        TAMPIERI A., La nuova disciplina sanzionatoria del contratto a termine, in Il lavoro temporaneo e i nuovi strumenti di promozione dell'occupazione (Commento alla legge 24 giugno 1997, n.196) a cura di Luisa Galantino, Milano, Giuffrè, 1997, p.315.

3.       Id. ibidem.

4.        Id. ibidem. L'A. rileva, infatti, come in nome delle esigenze di flessibilità del mercato del lavoro, il legislatore abbia sacrificato la << garanzia della massima tutela possibile per il lavoratore>> (ivi).

5.        Come è noto il testo della premessa, esterno all'accordo, de quo conteneva dichiarazioni del solo Governo che in tal modo ha potuto "aggiustare", unilateralmente, le argomentazioni poste in sede di concertazione secondo una sostanziale logica di scambio: cfr. PAGLIERO, Le novità per il rapporto di lavoro subordinato, in Dir. prat. Lav., inserto, n.50, 1997, p.X.

6.        V. Il patto per il lavoro diventa legge. Guida ai nuovi provvedimenti per favorire l'occupazione, pubblicato a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria. Per un commento V. LISO-POTI-VARESI, Mercato del lavoro e flessibilità, in Dir. prat. Lav., 1995, inserto n.38.

7.        Cfr. TAMPIERI A., op. cit., p.314.

8.        Cfr. TAMPIERI A., op. cit., p.316.

9.        Cfr. PAGLIERO, op. cit., p.XI.

10.     MASSARA A., Per i contratti a termine flessibilità a caro prezzo, in Guida al Dir., de Il Sole 24 ore, 19 giugno 1997, p.5.

11.     Cfr. TAMPIERI A., op. cit., p.321.

12.     Cfr. TAMPIERI A., op. cit., p.322.

13.     Cfr. TAMPIERI A., op. cit., p.318.

14.     L'art.10 legge 196/1997, dispone in materia di lavoro temporaneo che <<se la prestazione di lavoro temporaneo continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il lavoratore ha diritto ad una maggiorazione pari al 20 per cento della retribuzione giornaliera per ogni giorno di continuazione del rapporto e fino al decimo giorno successivo>> aggiungendo che <<se la prestazione continua oltre il predetto termine, il lavoratore si considera assunto a tempo indeterminato dall'impresa utilizzatrice dalla scadenza del termine stesso>>. Cfr., LUPI-RAVAIOLI, Il lavoro flessibile. Tutti gli strumenti legali per superare la rigidità nel rapporto di lavoro, II ed., Giuffrè, Milano, 1997, p.189.

15.    DELL'OLIO, Flessibilità e nuove forme di lavoro nel disegno di legge sull'occupazione, in corso di pubblicazione; SANTORO-PASSARELLI, Flessibilità e diritto del lavoro, in Enc. giur., aggiornamento, VII, 1997.

16.     MISCIONE, op. cit., p.2099. L'A. osserva che l'automatica "conversione" del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, a prescindere dal tempo di protrazione e dalla gravità della violazione, importava un sistema sanzionatorio caratterizzato da una particolare rigidità nei confronti del datore di lavoro.

17.     Cfr. MISCIONE, op. cit., p.2099.

18.     PAGLIERO, op. cit., p.XI.

19.     Così ROCCELLA, Contratti a termine: la nuova disciplina sanzionatoria, in Dir. prat. Lav., 1997, n.33, p.2352.

20.     PAGLIERO, op. cit., p.X.

21.     PAGLIERO, op. cit., p.XI.

22.     PAGLIERO, op. cit., p.XI.

23.     MISCIONE M., Nuove sanzioni per il contratto a termine, cit., p.2099.

24.     ROCCELLA, Contratti a termine: la nuova disciplina sanzionatoria, cit., p.2352.

25.     Cfr. Cass., 29 gennaio 1994, n.897, in Mass. Giur. Lav., 1995, 482; Cass., 4 febbraio 1988 n.1144, in Corr. Giur., 1988, p.484 con nota di DI RUOCCO M., ... è a tempo indeterminato il rapporto tra lavoratore e impresa interponente, ivi, p.486.

26.     SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1983, 253.

27.     Cfr. GALANTINO L., Diritto del lavoro, Torino, Utet, 1996, p.175.

28.     Cfr. MASSARA, op. cit., p.5

29.     Cfr. TAMPIERI, op. cit., p.317.

30.    Cfr., VALLEBONA A., Il lavoro temporaneo: un travestimento del contratto a termine, in Studium iuris, 1997, 892. Come si è detto, l'art.10 legge 196/1997, dispone in materia di lavoro temporaneo che <<se la prestazione di lavoro temporaneo continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il lavoratore ha diritto ad una maggiorazione pari al 20 per cento della retribuzione giornaliera per ogni giorno di continuazione del rapporto e fino al decimo giorno successivo>> aggiungendo che <<se la prestazione continua oltre il predetto termine, il lavoratore si considera assunto a tempo indeterminato dall'impresa utilizzatrice dalla scadenza del termine stesso>>.

31.     TAMPIERI A., op. cit., p.314.

32.     SCARTOZZI G., L'apparato sanzionatorio in materia di lavoro temporaneo, in Il lavoro temporaneo e i nuovi strumenti di promozione dell'occupazione (Commento alla legge 24 giugno 1997, n.196) a cura di Luisa Galantino, cit., p.303.

33.     TAMPIERI A., op. cit., p.323.

34.     Cfr. ANGELINI L., Alla ricerca di un sempre più difficile compromesso fra tutele normative e flessibilità gestionali nell'assunzione di giovani lavoratori, in Giust. Civ., 1997, I, 1084.

35.     ROCCELLA M., Contratti a termine: la nuova disciplina sanzionatoria, cit., p.2353.

36.     Cfr. MISCIONE M., op. cit., p.2100.

37.     Cfr. MISCIONE M., op. cit., p.2100.

38.     ROCCELLA, sub art.23 in TREU-LISO-NAPOLI (a cura di), Commento alla legge n.56 del 1987, in Nuove leggi civili commentate, 1987, p.765. L'A., rileva l'esistenza di una lacuna dell'apparato sanzionatorio introdotto dalla legge 56/1987, profilando la possibilità di usare il mezzo di una sanzione pecuniaria, proporzionata alla durata dei rapporti a termine eccedenti i limiti fissati, come mezzo di coartazione degli imprenditori all'osservanza delle disposizioni di legge.

39.     TAMPIERI A., op. cit., p. 324

40.     MISCIONE, op. cit., p.2099.

41.     VICECONTE M., Il contratto di lavoro a termine. Legislazione giurisprudenza e contrattazione collettiva, cit., p.78.

42.     Cfr. PAGLIERO, op. cit., p.XI.

43.     MISCIONE, op. cit., p.2100.

44.     Cfr. ANGELINI, op. cit., p.1085; GIUDICI M., Impresa e mercato del lavoro, in Dir. prat. Lav., 1997, 2169.

45.     Cfr. MENGHINI, op. cit., ivi.

46.     Cass., S.U., 5 marzo 1991, n.2334, in Riv. Giur. lav., 1991, II, 493. Contra, circa la retribuibilità degli intervalli non lavorati Cass., 11 febbraio 1989, n.860, in Mass. Giur. lav., 1989, 351; secondo Cass., 12 marzo 1982, n.1592, in Dir. lav., 1982, II, 366 deve ammettersi la retribuibilità degli intervalli subordinatamente alla prova della messa a disposizione delle energie lavorative del lavoratore il cui onere incombe sul datore di lavoro; in dottrina, cfr. VARESI-ROCCELLA, Le assunzioni. Prova e termine nei contratti di lavoro, in Commentario al cod. civ., diretto da P. SCHLESINGER, sub artt.2096-2097, Milano 1990, 213, ss.

47.     Cfr. Cass., 2 settembre 1995, n.9278, in Giust. Civ. Mass., 1995, p.1597; Cass., 4 ottobre 1996, n.8695, ivi, 1996, p.540; Cass., 30 maggio, 1997, n.4787, in Guida al diritto, Il Sole 24 ore, 1997, n.27, p.59.

48.     TAMPIERI A., op. cit., p. 322

49.     Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, la prescrizione legislativa contenuta nell'art.2 della legge n.230 del 1962 già nel testo previgente alla riforma del 1997, secondo cui quando si tratti di assunzioni successive con contratto di lavoro a termine intese ad eludere le disposizioni della legge medesima si verifica la conversione ex tunc dei rapporti a termine in un unico rapporto a tempo indeterminato, ha la funzione di norma di chiusura, destinata pertanto ad operare quando, nonostante l'apparenza formale di conformità alla legge delle assunzioni a termine, il dettato normativo venga utilizzato in funzione distorta rispetto alla sua ratio: cfr. Cass., 21 dicembre 1983, n.7548, in Mass., 1983; conforme Cass. civ., 24 novembre 1987, n. 8663, in Mass., 1987.

50.     ROCCELLA M., Contratti a termine: la nuova disciplina sanzionatoria, cit., p.2354.

51.     Cfr. DE GIUDICI A., op. cit., p.23.

52.     In dottrina, è prospettata come una delle possibili interpretazioni possibili da MISCIONE e ROCCELLA.

53.     Cfr., Cass., 8 maggio 1989, n.2130, in Dir. prat. Lav., 1989, 35, p.2380.

54.     PAGLIERO, op. cit., p.XII.

55.     Questa tesi è prospettata da MISCIONE, op. cit., p.2099.

56.     TAMPIERI A., op. cit., p.319.

57.     TAMPIERI A., op. cit., p.321.

58.     MASSI, Contratti a termine, orario di lavoro e part-time, in Dir. prat. Lav., 1997, p.3501.

59.    In Giuda normativa, 1997, n.218, p.17 con il commento di MASSARA, Quando scatta l'assunzione definitiva dopo due contratti a termini consecutivi.

60.     Cfr., TROILI, Mercati e rapporti di lavoro, in Commentario alla legge 24 giugno 1997, n.196, a cura di M. Biagi, Milano, 1997, 354 ss.; Id., Lavoro a tempo determinato: la nuova disciplina sanzionatoria, in Dir. rel. Ind., 1998, p.215 ss.

61.     PAGLIERO, op. cit., p.XII.

62.     Così, TROILI, op. ult. cit., p.217.

63.     Cfr. TROILI, op. ult. cit., p.218. V. anche MUGGIA-GUARISO, Il contratto a termine nella legge Tre, in Riv. crit. Dir. lav., 1997, p.41.

64.     PAGLIERO, op. cit., p.XII.

65.     PAGLIERO, op. cit., p.XI.

66.     AMBROSIO, Contratto a termine e assunzioni successive, in Dir. prat. Lav., 1998, p.968.

67.     Cfr. DORE C., Lavoro a termine e diritto di precedenza dei lavoratori in caso di successive assunzioni: la disoccupazione non si risolve con i <<pannicelli caldi>>, in Riv. Giur. sarda, 1997, 179.

68.     MISCIONE, op. cit., p.2100.

69.     Cass. civ., 11 novembre 1988, n. 6104, in Mass., 1988; più recentemente Cass. civ., 19 gennaio 1990, n. 276, in Mass. , 1990.

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Roma, 15 giugno 1998.

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