Responsabilità da cose in custodia

 

Nota a Cass., III Sez. Civ., 10 novembre 1998, n.11309, Reali A. c/ Assitalia S.p.A.) - Oggetto: Risarcimento danni da caduta in un montacarichi.

 

 

Il fatto

 

Il commento

 

 

 

 

 

Il fatto:

Nel giudizio risarcitorio promosso nei confronti di un Convitto e del Ministero della Pubblica Istruzione (per lesioni subite in un montacarichi del Convitto a seguito di caduta causata da un improvviso sobbalzo del mezzo nel tragitto di discesa), con la chiamata in causa (per la manleva) della Compagnia assicuratrice "Le Assicurazioni d'Italia" S.p.A., l'adito Tribunale di Roma, con sentenza del 27 marzo 1993, ritenuta la responsabilità dei convenuti ai sensi dell’art. 2051 c.c. - con il concorso di colpa del danneggiato nella misura del 30% - condannava il Convitto ed il Ministero (in solido) al risarcimento dei danni subiti dall’attore, proporzionalmente alla misura della colpa e rigettava la domanda di garanzia nei confronti della compagnia assicuratrice, per difetto di prova del rapporto di assicurazione.

Proposto gravame di appello da parte di entrambi i soccombenti in primo grado, la Corte di Appello di Roma, con sentenza del 16 ottobre 1995, dichiarava il difetto di legittimazione del Ministero; ravvisava il concorso di colpa del danneggiato nella misura del 70% (ribaltando, quindi, in senso diametralmente opposto, la misura del concorso affermata dal Tribunale) e condannava, pertanto, solamente il Convitto al risarcimento dei danni nei confronti dell’attore nella misura del 30% del suo ammontare come calcolato in primo grado.

Avverso tale sentenza l'attore proponeva ricorso per Cassazione al quale resistevano la Compagnia assicuratrice "Le Assicurazione d'Italia" con contoricorso (dichiarato inammissibile, perchè tardivo, ma comunque idoneo ad abilitare il contraddittore alla discussione orale ex art.370 c.p.c.), nonchè (unitamente) il Ministero ed il Convitto, il quale ultimo proponeva ricorso incidentale. La Suprema Corte, con la sentenza in commento, riuniti i ricorsi, li rigetta confermando la sentenza di Apello.

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Il commento

Il rilievo, che nell'iter logico seguito dai giudici di legittimità, viene ritenuto prioritario sotto il profilo logico-giuridico dagli stessi giudicanti, riguarda il primo motivo del ricorso incidentale proposto dal Convitto che denunzia la violazione e la falsa applicazione dell'art.2051 c.c., deducendo l'inapplicabilità di detta norma al caso in esame in quanto il danno sarebbe derivato dall'utilizzo improprio della cosa in custodia e non già dall'intrinseco dinamismo della cosa stessa.

Rileva la Corte che, correttamente, i giudici di appello hanno inquadrato la fattispecie nel paradigma di cui all'art.2051 c.c. essendo stata accertata l'anomalia nel funzionamento del montacarichi (che aveva provocato un sobbalzo in conseguenza del quale l'istante ebbe a perdere l'equilibrio) ed evidenziato che la custodia del montacarichi doveva essere esercitata dal Convitto che, invece, nel caso di specie non aveva assunto iniziative idonee a avvertire i terzi del pericolo nell'uso (anomalo) di quel mezzo non destinato al trasporto di persone.

Ebbene, sotto questo aspetto, la ricostruzione avallata dalla S.C. ben si inquadra nel solco della dottrina e della giurisprudenza prevalenti poichè vi sono, nella fattispecie, tutti gli indici rivelatori di una condotta colpevole del custode, non avendo questo addotto nessun elemento idoneo a vincerne la presunzione.

É costantemente ribadito dalla S.C., infatti, che per il verificarsi della responsabilità prevista dall'art. 2051 c.c. è necessaria e sufficiente una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, che risulti così riconducibile ad una anomalia (originaria e sopravvenuta) nella struttura o nel funzionamento della cosa stessa, nonché l'esistenza dell'effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe l'obbligo di vigilarla e di mantenerne il controllo onde evitare che produca danni a terzi, con il conseguente onere per l'attore, che agisce per il risarcimento del danno, di fornire la prova della esistenza di tali elementi, mentre resta a carico del custode convenuto offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere d'imprevedibilità e di assoluta eccezionalità.

Tanto è vero che in caso d'incertezza sulla concreta causa rimane a suo carico il fatto ignoto, in quanto non idoneo ad eliminare l'incertezza in ordine allo svolgimento eziologico dell'accadimento (Cass. civ., 14 marzo 1983, n. 1897).

Di fatti, la responsabilità presunta per danni cagionati da cosa in custodia stabilita dall'art. 2051 c.c. ha il suo fondamento, oltre che su un effettivo potere esercitato dal soggetto sulla cosa, tale da implicare il controllo e l'uso di essa, anche sul fatto che il danno si sia prodotto nell'ambito del dinamismo connaturale alla cosa medesima o per l'insorgenza in questa di un processo dannoso, ancorché provocato da elementi esterni; detta norma pertanto, non richiede necessariamente che la cosa sia suscettibile di produrre danni per sua natura, cioè per suo intrinseco potere, in quanto anche in relazione alle cose prive di un dinamismo proprio sussiste il dovere di custodia e controllo, allorquando il caso fortuito ed il fatto dell'uomo possono prevedibilmente intervenire, come causa esclusiva o come concausa, nel processo obiettivo di produzione dell'evento danno, eccitando lo sviluppo di un agente, di un elemento o di un carattere che conferiscono alla cosa l'idoneità al nocumento (Cass. civ., 23 ottobre 1990, n. 10277).

Il difetto di funzionamento, l'assenza di segnalazioni atte a rendere edotti i terzi non tanto del cattivo funzionamento, quanto della circostanza che il mezzo in questo caso non poteva essere utilizzato il trasporto di persone, sono elementi più che sufficienti a fondare il giudizio di responsabilità a carico del custode.

Resta da verificare se nel caso di specie, al di là del difetto di funzionamento, l'uso improprio che del montacarichi ha fatto il danneggiato sia stato sufficiente ad integrare i presupposti del caso fortuito, seguendo il principio della causalità efficiente di cui all'art.41, comma 2, c.p., ovvero, in altre parole, ad escludere il rapporto eziologico tra l'eventus damni e la condotta del custode, escludendo che quest'ultima, quale antecedente necessario, possa aver avuto un ruolo determinante nella produzione dell'evento.

Sul punto occorre rammentare che mentre nella giurisprudenza di merito la responsabilità ex art.2051 c.c., viene ricondotta al principio della responsabilità oggettiva (dalla quale il custode può essere esonerato solo attraverso la dimostrazione dell'esistenza di un elemento in grado di escludere il nesso di causalità fra la cosa ed il fatto (Trib. Venezia, 28 marzo 1997; Pret. Bologna, 30 ottobre 1968)), secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, l'art. 2051 c.c. pone a carico del soggetto che ha l'effettivo potere di fatto sulla cosa ed il correlativo obbligo di vigilarla, una praesumptio iuris tantum di responsabilità che può essere vinta solamente dalla prova che il danno sia ricollegabile ad un evento positivamente determinato, imprevedibile ed inevitabile (Cass. 23 ottobre 1990, n.10277).

La S.C., infatti, ritiene che in tema di responsabilità per danni da cose in custodia il caso fortuito idoneo a superare la presunzione di responsabilità del custode può anche consistere nel comportamento del danneggiato, allorchè questo abbia costituito la causa esclusiva dell'evento dannoso, esistendo per il danneggiato agevoli e valide condotte alternative idonee a scongiurare l'eventualità dell'accadimento dannoso (Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1994, n. 5083).

Del resto, come è stato rilevato in dottrina (Oberto, Sui rapporti tra la fattispecie di cui agli artt.2043, 2050, 2051 c.c., in Resp. Civ, prev., 1983, 782) la presunzione legale di colpa del custode si giustifica in quanto l'idoneità della cosa a produrre un danno impone di adottare le misure idonee a rendere la cosa innocua per i terzi.

La prova del caso fortuito nel quale rientra, come si è visto, la condotta dello stesso danneggiato consiste nella prova che il danno si sia verificato per un evento non prevedibile e non superabile con la diligenza normalmente adeguata in relazione alla natura della cosa.

Il custode, infatti, dovrebbe evitare che i terzi patiscano pregiudizio dalla cosa che ha in custodia con la conseguenza che la prova del caso fortuito deve essere data sul piano di ciò che il presunto responsabile avrebbe dovuto fare ed ha fatto per evitare il danno. Tenendo, dunque, in debita considerazione il limite della normale ed umana previsione dei futuri ed eventuali pregiudizi, può fondatamente affermarsi che anche il fatto del terzo e quello del danneggiato sono irrilevanti ai fini dell'esonero della responsabilità se si tratta di fatti che in base al dovere di custodia il presunto responsabile avrebbe dovuto prevedere od evitare (Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Giuffrè, 1994, p.719).

Nel caso di specie, infatti, l’anomalia nel funzionamento del montacarichi, che ha provocato il sobbalzo, in conseguenza del quale l’istante ha perduto l’equilibrio è stato provato con deposizione testimoniale dalla quale è, altresì, emerso che non vi erano cartelli che vietassero l’uso del montacarichi alle persone come pure non vi era custodia atta ad impedire l’uso del montacarichi alle persone; dalle risultanze probatoria è emerso, infine, che l’uso del montacarichi per il trasporto di persone, era se non abituale non sporadico per cui il convenuto avrebbe dovuto e potuto assumere concrete iniziative, idonee ad avvertire del pericolo insito nell’uso anomalo del montacarichi, posto che le semplici avvertenze verbali, secondo la Corte, sono insufficienti per una corretta informazione.

Ciò anche se il comportamento dell’istante, sia stato in concreto imprudente in quanto egli innanzitutto non poteva non conoscere la differenza tra un ascensore ed un montacarichi e non era quindi esonerato da responsabilità per avere usato un mezzo non adibito al trasporto di persone e tra l’altro per avere usato una postura tale da non riuscire ad evitare i danni (a gambe incrociate e con le spalle appoggiate alla parete di sinistra come riferito da un'altra che trovatasi anch'essa sul montacarichi al momento dell'incidente avendo usato una posizione più prudente, più corretta, non ha riscontrato alcuna conseguenza).

Giustamente, dunque, il giudice di merito pur avendo riconosciuto la responsabilità per violazione degli obblighi di custodia del convenuto in misura non superiore al 30% ha ritenuto di ben maggiore efficacia determinativa il comportamento imprudente dell’istante e, quel che più conta, motivando adeguatamente la sentenza impugnata. Come insegna la Cassazione, infatti, si deve valutare la conoscenza che il terzo, che si avvalga della cosa, abbia del difetto strutturale o funzionale della cosa medesima e, quindi, della pericolosità dell'uso in relazione al suo stato, anche non apparente, al solo fine di stabilire se ed in quale misura la mancata adozione di cautele sia addebitabile a colpa del danneggiato, diminuendo comparativamente la responsabilità del custode ai sensi degli art. 2056 e 1227, 1° comma c. c. (Cass. civ., 10 maggio 1988, n. 3416).

In tema di responsabilità per danni da cose in custodia il caso fortuito idoneo a superare la presunzione di responsabilità del custode può anche consistere nel comportamento del danneggiato, allorchè questo abbia costituito la causa esclusiva dell'evento dannoso, esistendo per il danneggiato agevoli e valide condotte alternative idonee a scongiurare l'eventualità dell'accadimento dannoso. (Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1994, n. 5083 - Cass. civ., 22 agosto 1989, n. 3737). Altrimenti trova applicazione l'art.1227, comma 1 c.c., a norma del quale, quando vi è concorso di colpa del danneggiato, la responsabilità del danneggiante è diminuita secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate, si applica anche nei casi di responsabilità (presunta) del custode perchè è espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso. (Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1994, n. 3957).

L'ultima osservazione, degna di nota, della sentenza in commento riguarda il giusto rilievo circa l'impossibilità, in sede di legittimità, di valutare elementi attinenti al merito nonchè di far valere eventuali errori materiali della sentenza che vanno denunciati, secondo la Corte, seguendo l'apposito procedimento di cui agli artt.287 ss. c.p.c. Circa l'insindacabilità in sede di legittimità delle statuizioni del giudice di merito sulla misura del concorso la Cassazione, ha più volte ribadito che tale giudizio essendo riservato al libero e discrezionale apprezzamento del giudice di merito è incensurabile in Cassazione se adeguatamente motivato.

Del resto interpretando il complesso probatorio acquisito e dandone logica motivazione, quando ritenga che il comportamento illegittimo del danneggiato non sia valso a interrompere il nesso di causalità tra la condotta colposa e l'evento lesivo dedotti in giudizio, trattandosi di accertamento di fatto, il giudice di merito non incorre in violazione o falsa applicazione della legge (Cass., 1 febbraio, 1995, n.1138).

Ciò, in quanto, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei soggetti che vi sono coinvolti e l'accertamento dell'esistenza o meno del rapporto di casualità tra i comportamenti accertati e l'evento dannoso si risolvono in altrettanti giudizi di merito sottratti se adeguatamente motivati al sindacato di legittimità se immune da errori di diritto o da vizi logici (Cass., 6 agosto, 1987, n.6759; conformi Cass., 21 ottobre 1986, n.6183; Cass., 21 novembre, 1984, n.5967; Cass., 24 marzo, 1984, n.1962; Cass., 28 febbraio 1983, n.1504).

Circa l'impossibilità, infine, di far valere nel giudizio di cassazione gli errori materiali della sentenza, la sentenza impugnata non sembra trovare riscontro nell'orientamento prevalente dei giudici di legittimità, poichè da una parte è vero che l'errore di calcolo o materiale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ogni qual volta esso non sia conseguenza di un'inesatta valutazione giuridica o di un vizio di motivazione, dovendosi in tal caso far ricorso necessariamente alla procedura di correzione prevista dall'art. 287 c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 27 giugno 1995, n. 7249); dall'altra, però, si rileva che, l'errore causato da inesatta determinazione dei presupposti numerici di un'operazione è deducibile in sede di legittimità, in quanto si risolve in un vizio logico della motivazione, a differenza dell'errore materiale di calcolo risultante dal confronto tra motivazione e dispositivo, il quale è suscettibile di correzione con la procedura di cui agli art. 287 ss. c.p.c. (Cass. civ., 23 maggio 1990, n. 4666).

Solo quando l'errore di calcolo del giudice del merito, che non sia riconducibile all'impostazione dell'ordine delle operazioni matematiche necessarie per ottenere un certo risultato, ma sia meramente materiale, e consista cioè in un'erronea utilizzazione delle regole matematiche sulla base di presupposti numerici esattamente determinati, l'errore non è denunciabile con ricorso per cassazione, potendo essere fatto valere solo con l'apposita procedura di correzione contemplata dagli art. 287 segg. c. p. c. (Cass. civ., 17 luglio 1985, n. 4211).

Nel caso di specie, dunque, (nel quale, si rammenta, secondo le doglianze del ricorrente principale, il giudice di merito ha liquidato il danno nella misura del 30% (in ragione della misura della colpa) non già dell'intero ammontare bensì di una quota di esso pari al 30%) non si trattava di un errore materiale determinato dal contrasto tra motivazione e dispositivo, ma di un errore nell'impostazione dell'ordine delle operazioni matematiche necessarie per ottenere un certo risultato.

Roma, 18 marzo 1999.

A cura del Dott. Maurizio Aloise

in collaborazione con l'Avv. Raniero Valle

 

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