Famiglia di fatto: posizione
del problema
a cura del Dott. Maurizio Aloise
(lo scritto riproduce una parte della mia tesi di laurea in corso di elaborazione ed aggiornamento)
Introduzione
Il
fenomeno della "famiglia di fatto", la sua posizione giuridica nel
sistema dei rapporti di diritto privato, introduce una serie di problematiche
che travalicano il profilo strettamente giuridico per rispondere ad istanze di
varia natura. Nel nostro, come negli altri paesi di tradizione cattolica, le
posizioni sul tema della famiglia tout court risentono in larga parte del
secolare ruolo di preminenza svolto a riguardo dalla dottrina cattolica e, per
converso, dalle dottrine dell'autoritarismo laico, per cui è chiaro che apud
nos ogni tentativo di allontanarsi da quella nozione di famiglia rispondente ai
canoni della Chiesa o dello Stato non trova unanimi consensi. Oltre che
all'influenza esercitata dal pensiero cattolico, il tema della famiglia, intesa
quale formazione sociale intermedia tra lo Stato e l'individuo, si presta ad
una serie di valutazioni da ricondurre alle istanze laiche del pluralismo,
votate, più che altro, a considerare le formazioni sociali e fra queste la
comunità familiare come tutelate nei confronti dello Stato e degli altri gruppi
sociali con ciò trascurando le posizioni del singolo all'interno del gruppo[1].
Naturalmente, al diritto spetta l'arduo compito di mediare le contrapposte
posizioni cercando di dare ad ogni fenomeno sociale la sua giusta collocazione
negli schemi dell'ordinamento giuridico, componendo il conflitto che ogni
fenomeno nuovo, immancabilmente, suscita fra i diversi orientamenti ideologici
o le diverse istanze morali e religiose. Ma molto spesso le stesse posizioni
dei giuristi in ordine a fenomeni nuovi, quale quello della famiglia di fatto,
risentono delle varie spinte contrastanti che derivano dalle loro contrapposte
tendenze ideologiche, morali o religiose e che li inducono a partire da
posizioni divergenti per arrivare spesso a conclusioni contrastanti. La diatriba
sull'ammissibilità di una nozione di famiglia che vada al di là della
tradizionale idea cattolica, che si pretende accolta in via esclusiva nel
nostro ordinamento costituzionale, si riflette già sulla stessa scelta, da
parte dei giuristi, della terminologia con la quale si vuole indicare il
fenomeno de quo, essendo caratterizzate, come vedremo, le posizioni contrastanti della dottrina
dalla scelta di termini diversi (concubinato, famiglia non famiglia, unione
libera, famiglia di fatto) già di per sé indicativi della rilevanza che a tale
fenomeno si vuole o non si vuole, come taluno sostiene, riconoscere. Tuttavia
sembra più ragionevole ritenere che, qualunque siano i canoni extra giuridici
che animano la ricerca, il giurista debba mantenersi quanto più possibile
attaccato alle maglie dell'ordinamento giuridico onde poter valutare il
fenomeno in relazione ai principi cui esso si informa, non potendo la posizione
ideologica dell'interprete, trasformarsi in un pregiudizio già nella scelta del
termine. E' chiaro dunque che, alla luce di quanto detto, il termine famiglia
di fatto sembra il più idoneo ad indicare il fenomeno di due partners che hanno
scelto di vivere la propria comunione spirituale e materiale di vita senza la
formale consacrazione con il patto matrimoniale; la scelta del termine famiglia
di fatto sembra, infatti, allo stato attuale, la più rispondente alle esigenze
ed alla tecnica del diritto che contrappone i rapporti di diritto ai rapporti
di fatto in relazione alla considerazione che si tratti di rapporti già muniti
di riconoscimento giuridico ovvero ancora privi, anche se meritevoli, di tale
riconoscimento (si pensi allo stesso linguaggio del codice che parla di società
di fatto, prestazioni lavorative di fatto, ecc.).
A
questo punto, tenuto conto "che gli orientamenti ideologici
dell'interprete sono una componente essenziale dell'interpretazione"[2],
l'analisi del fenomeno della famiglia di fatto, condotta attraverso le tre
formanti dell'ordinamento (la formante dottrinale, la formante legislativa, la
formante giurisprudenziale), non può non partire dall'assunto che, qualunque
siano i valori della coscienza sociale da cui si voglia prender avvio, non è più possibile, nell'attuale società,
penalizzare o ignorare l'esistenza di
rapporti che si concretizzano in una comunione spirituale e materiale di vita
non fondata su un atto formale e da cui possono sorgere una serie di conflitti
meritevoli di regolamentazione se si affronta il problema in chiave di rapporto
anzichè in funzione dell'atto.
A riguardo le divisioni della dottrina
riflettono l'evolversi della coscienza sociale tanto che dalle posizioni della
dottrina più risalente, votata ad un atteggiamento ostile, alle posizioni della
dottrina oggi prevalente, che riconosce la rilevanza giuridica del fenomeno, si
è passati attraverso le posizioni via via più tenui dell'indifferenza verso il
fenomeno della famiglia di fatto o della sua irrilevanza giuridica sotto il
duplice profilo della sua illiceità o della sua liceità. L'analisi critica di
quella dottrina ormai superata che penalizzava ogni forma di convivenza
paramatrimoniale, anzi riteneva il fenomeno pericoloso per la stabilità
sociale, offre interessanti spunti per prendere posizione sul fenomeno fino ad
arrivare ad indicare le soluzioni possibili al problema se sia auspicabile o
inopportuno (in quanto il fenomeno per sua natura resterebbe fuori dalle maglie
del diritto) un intervento del legislatore che, in maniera organica, operi il
riconoscimento giuridico di questa formazione sociale; e nell'ipotesi
affermativa di quale tenore e portata debba essere tale intervento
(equiparazione totale alla famiglia legittima o semplice assenza di
discriminazione tra le due famiglie stante la loro diversità).
Dal
canto suo, il legislatore, fino ad oggi astenendosi dal prendere posizione
sull'annoso problema, si è limitato a dettare alcune norme che riguardano
direttamente o indirettamente la famiglia di fatto solo sotto alcuni suoi aspetti particolari (il
più importante riguarda il rapporto di filiazione naturale). Le carenze sono
avvertite anche in tema di legislazione penale dove ai fini dell'applicabilità
della norma incriminatrice i maltrattamenti in famiglia è auspicabile un
intervento chiaro del legislatore. Di particolare interesse poi risulta qualche
considerazione sugli interventi operati dal legislatore regionale, coinvolgenti
il rapporto famigliare, nell'ambito della sua seppur ristretta competenza in
materia (significative sono alcune LL.rr. Em. Rom. in tema di tutela dei
minori).
Questa
situazione di incertezza si riflette immancabilmente sugli orientamenti della
giurisprudenza che si attesta su posizioni contrastanti. Mentre nella
giurisprudenza di merito sono prevalenti le pronunce di senso favorevole, è
soprattutto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che si ravvisa una
posizione di sfavore verso il fenomeno; e sebbene in alcuni casi la stessa S.C.
non nega la rilevanza del fenomeno, anche nelle pronunce che depongono a favore
di un riconoscimento, le posizioni della Corte si risolvono in una
penalizzazione della convivenza. Ancora tra progressi e indietreggiamenti
viaggia la giurisprudenza della Corte Costituzionale, che pur non volendo
"negare qualsiasi rilevanza alla convivenza ... non ha ancora colto
l'estro per rafforzarne la sua protezione costituzionale"[3].
A
questo punto sembra lecito porsi il quesito di quale futuro si prospetti nel
nostro ordinamento per la famiglia di fatto. A tal fine, posto che una
regolamentazione legislativa della famiglia di fatto non contrasta con le direttive
tracciate dalla Costituzione in tema di formazioni sociali (art.2) e di
famiglia in particolare (artt.29, 30, 31), risulta di estrema utilità l'analisi
di alcuni disegni di legge presentati in Parlamento tra i quali particolarmente
interessante è il progetto di legge presentato dal P.S.I. nel 1988 che meno
degli altri si presta alle critiche mosse verso la regolamentazone del
fenomeno. Ovviamente, nell'attuale evoluzione degli ordinamenti europei,
infine, è doveroso fare cenno alle recenti posizioni del Parlamento europeo che
ha approvato una risoluzione (Ris. 8 febbraio 1994) volta a deprecare le
discriminazioni contro le unioni omosessuali, la quale è significativa in
ordine all'attenzione da prestare ad ogni forma di convivenza in cui si esplichi
la personalità dell'individuo in quanto soggetto di diritto.
La famiglia di fatto come
realtà sociale
Nel
corso di questi ultimi decenni sono emerse nella realtà sociale, ponendosi all'attenzione
di giuristi e studiosi delle vicende umane, nuove forme di relazioni familiari
che reclamano a gran voce un riconoscimento sul piano del moralismo sociale
nonché sul piano giuridico. Dal punto di vista sociologico il problema è stato
affrontato ponendosi di fronte all'interrogativo circa il tipo di
riconoscimento che occorre dare al fenomeno sul piano sociale e sociologico in
dipendenza della nozione di famiglia sulla base della quale il fenomeno stesso
va definito.
Nell'attuale
momento storico la ricerca sociologica propende a porre quale "cellula di
base dell'organizzazione sociale nonché [quale] luogo di integrazione globale e
socializzazione della persona"[4],
la sola famiglia fondata sul matrimonio, organismo istituzionalizzato, ben
definito nei suoi contenuti giuridici, sociali e culturali a cui i componenti
la collettività avrebbero scelto di affidare fondamentalmente "ruoli
educativi, affettivi e di sostegno economico [...] in un clima di reciproca
solidarietà"[5] e, vieppiù,
la funzione di garantire la "conservazione e quindi la stabilità del
sistema socio-economico e politico in cui si inserisce"[6]
attraverso i meccanismi del consenso e del controllo sociale. In questa
prospettiva, inerenti alla definizione sociologica di famiglia sarebbero
esclusivamente quegli organismi strutturalmente funzionalizzati a tali
finalità. Sul piano sociologico, dunque, può aversi famiglia, nel senso
delineato, solo ove ricorrano tre conditiones sine quibus non, essenziali a
garantirne l'idoneità al ruolo assegnatole. Esse sono: a)una "relazione di
reciprocità piena fra persone che stanno fra di loro in rapporti di coppia
stabile"[7]; b)la
presenza del "matrimonio, quale atto giuridico solenne da cui discendono
diritti e doveri codificati dal legislatore"[8]
che ne garantiscono la stabilità; c)la convivenza quotidiana nella condivisione
degli aspetti materiali e spirituali del rapporto e nella predilezione delle
relazioni sessuali pressoché esclusive che ne consentono la riproduzione[9].
Condotta in questi termini la riflessione sociologica, non è dato individuare
una struttura familiare qualora manchi una delle suddette condizioni, non
potendo ritenere tale una semplice aggregazione di individui, che secondo
taluno darebbe vita ad una semplice "prassi erotico-affettivo-sociale
definitivamente spontanee e naturali"[10]
ancorché sostenuta dai medesimi affetti[11].
Cosicché riconoscere la famiglia di fatto significherebbe, e non potrebbe non
significare sul piano sociologico, attribuire "rilevanza giuridica [al
semplice] fatto sociale della convivenza"[12]-[13]
sempre che essa intercorra tra due persone di sesso diverso[14]
stabilmente assieme[15]
dando vita ad un modello analogo all'organismo familiare, ma solo analogo, nel
senso che l'analogia "tocca solo alcuni caratteri fondamentali [per cui]
il concetto di unione libera coglie meglio il contenuto di questa specifica
relazione sociale [...] occorrendo uno sforzo di immaginazione
sociologica"[16] per non
confondere famiglia e non-famiglia[17].
Nella
cd. "società complessa odierna"[18],
sempre più votata a concedere ampio spazio "alle preferenze e ai
comportamenti dei singoli"[19],
le tendenze evolutive della famiglia non possono essere avulse dalle
"influenze sistemiche"[20].
La rapidità delle trasformazioni "delle strutture socio-economiche e delle
condizioni di vita che queste determinano [nonché] dei modelli culturali e di
valori"[21] ha
investito le molteplici sfere relazionali dell'intera società sottoponendo
l'istituto familiare ad un processo evolutivo verso "l'alterazione
progressiva della sua fisionomia strutturale e delle sue funzioni"[22].
L'analisi
storico-sociologica[23]
ha posto in risalto come sul piano delle funzioni l'organismo familiare nel
passaggio dall'arcaica società agricola[24]
alla odierna società multimediale[25]
post industrializzazione è stato liberato dalle "funzioni politiche ed
economiche"[26] mentre sul
piano della struttura la dislocazione delle fonti di lavoro ha dapprima
disgregato il nucleo parentale recidendo il vincolo patriarcale che in una
struttura fortemente gerarchica consentiva una "gestione autoritaria dei
rapporti interpersonali"[27]
che vi si svolgevano, indi ha ridotto l'organismo familiare al solo nucleo
coniugale che oggi va assumendo nuove configurazioni sotto la spinta di una
"maggiore libertà soggettiva dei singoli membri all'interno del
nucleo"[28] attraverso
un processo di "democratizzazione dei rapporti tra i coniugi, che in modo
spontaneo si sono evoluti nell'instaurazione di relazioni paritetiche fondate
sull'accordo, facilitate o meglio, conseguenti sia all'emancipazione sociale ed
economica della donna, sia alla più precoce autonomia dei figli spinti
all'esterno del nucleo familiare dalle possibilità di indipendenza economica e
culturale"[29]-[30].
Si è, dunque, sviluppato un modello di gruppo familiare, "legato da
vincoli di affetto e di interessi comuni e dominato da libertà ed autonomia dei
suoi componenti"[31],
che liberato da funzioni politiche[32]
ed economiche si prepone a svolgere precipuamente un ruolo educativo e
culturale fondamentale e sul piano sociale ad assolvere la funzione prioritaria
di solidarietà e di sostegno affettivo[33].
Come è stato notato da un fine giurista, già nella riforma del diritto di
famiglia operata con la L.151/75 si "privilegia la spontaneità degli
affetti sulle costrizioni formali".[34]
Persino
quando, in epoche storiche[35],
la famiglia ha indubbiamente assunto una connotazione politica, questa non ne
fu mai la sola ed esclusiva substantia in quanto, pur influenzandone la
struttura, alla base essa rimaneva una comunione di affetti.
§ 2. Famiglia di fatto, società e diritto.
Se
si ha riguardo alle funzioni della famiglia, ossia alle istanze sociali ed
individuali che trovano svolgimento in essa, alla luce di quanto l'analisi
storico-sociologica riportata ha messo in evidenza (ut supra), appare chiaro
come nella stessa individuazione del fenomeno familiare possa ritenersi
superato il concetto sociologico di famiglia non certamente rispondente alla
realtà sociale delle relazioni familiari se lo si vuole limitare al modello
tradizionalmente definito legittimo, in quanto la "saldezza e la stabilità
della famiglia [possono farsi derivare] più dalla qualità e dalla intensità
delle sue relazioni interpersonali che dalle necessità delle sue funzioni,
talché sebbene espropriata, ma in certi casi anche liberata, da compiti che una
volta erano di sua esclusiva competenza, [...] oggi si pone come uno dei
luoghi, se non l'unico, di sviluppo e integrazione globale della persona"[36].
Questa
sembra la sola impostazione accettabile per il giurista che voglia accingersi a
condurre una riflessione sul dato sociale in esame se si ragiona, come è
dovere, in termini di sviluppo e realizzazione del singolo nella formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità (art.2 Cost.), cogliendo i mutamenti
del costume in atto.
La
forza che taluni intendono attribuire al dato sociologico, tentando di
incasellare in schemi tecnico-giuridici materiali sociologici non inquadrabili
in tali schemi, e "l'intenso appello ai valori, che a tale dato è
immanente"[37], si
risolvono in "una illusoria semplificazione"[38]
del fenomeno famiglia di fatto impedendo al giurista una "adeguata
sistemazione giuridica"[39]
del dato sociale emergente nelle convivenze non fondate sul matrimonio.
Parimenti
errato sarebbe per il giurista procedere nella riflessione muovendo da
"modelli precostituiti [o] desunti, più o meno arbitrariamente"[40]
dal modello di famiglia che si pretende disciplinato dalla legge in via
esclusiva.
Bisogna
dunque che il giurista muova "non già dalle elaborazioni sociologiche
dell'analista empirico [nè tanto meno]
dalle costruzioni dogmatiche dell'interprete delle istituzioni normative
consacrate dalla tradizione giuridica"[41]
bensì da un criterio desunto dalla variegata fenomenologia presa in esame
evitando di incorrere nell'equivoco di "una pretesa uniformità nella
diffusione sociale del fenomeno"[42]
ma cogliendo di esso "il nucleo funzionale specifico e costante"[43].
Occorre,
dunque, "ricercare un criterio unitario, non contingente ed empirico"[44],
non potendosi pretendere di "sottomettere la realtà sociale ed il costume
<< ad una regola istituzionale ancorata a un valore etico
assoluto>>"[45]-[46]
nè tanto meno di superare lo scarto tra la diffusione e l'accettazione sociale
del fenomeno.
Infine
occorre rompere le inferenze che forzatamente si asseriscono intercorrenti
imprescindibilmente tra "difesa del matrimonio e svalutazione giuridica
della famiglia di fatto"[47]
oppure, al contrario, tra critica dell'istituzione (famiglia legittima) e
integrale valorizzazione giuridica dell'emergenza sociale (famiglia di fatto)[48]-[49].
Ciò posto sembra lecito, senza alcuna presunzione di forzare determinate
categorie sociologiche, proporre la ricomprensione di entrambi i concetti di
famiglia legittima (come forma istituzionalizzata) e di famiglia di fatto (per
ora dato sociale emergente nel diritto) nel più ampio concetto di famiglia
legale[50]
idoneo ad abbracciare l'intero ambito delle relazioni familiari svolgentisi
nella realtà sociale variamente configurate e disciplinate dal legislatore
secondo il loro diverso modo di atteggiarsi e con ciò, dunque, cercando di
condurre anche la famiglia di fatto nell'alveo del diritto[51].
Il
problema - come avverte chi se ne interessava 20 anni addietro - è di stretto
diritto positivo e non può essere risolto sulla base di aprioristiche
affermazioni o di richiami ad un <<ordine naturale>>[52].
Come
ha ben rilevato il Rescigno[53]
tale processo di <<democratizzazione della famiglia>> è
inquadrabile nelle stesse scelte normative operate nel nostro ordinamento
Costituzionale in quanto, "il merito di aver iniziato questa radicale
trasformazione spetta innanzitutto alla Costituzione"[54]
anche se indubbiamente il legislatore costituente intese enunciare un programma
piuttosto che lo "specchio di una realtà capace di attuarsi"[55]
sulla base di un "atteggiamento compromissorio" inteso a conciliare
le scelte operate con chi era alieno da "qualsiasi intento anche latamente
rivoluzionario"[56].
§. 3. La
famiglia come entità storica variabile. Rilievi metodologici.
Per
effetto dell'influenza esercitata nel campo storico-giuridico da alcune teorie
sociologiche "si è giunti a configurare la famiglia come comunità
originaria, pregiuridica ... come società di <<diritto
naturale>>"[57]-[58].
Già
in analisi storiche più risalenti[59]
riferite alle fonti romane "la sfera d'indagine dei romanisti in ordine al
problema della famiglia"[60]
si era dilatata a dismisura conducendo a conclusioni discutibili e discusse per
effetto dell'influenza delle teorie del Morgan e del Summer Maine, a cui era
stato attribuito un valore assoluto tanto che esse hanno avuto un'incisiva
rilevanza nella formulazione di concezioni economiche e politiche di ordine
generale, basate sul presupposto, recentemente sottoposto a fondata critica,
dell'applicabilità al diritto delle leggi sull'evoluzione biologica della
specie umana che consente di ritenere comuni a tutte le società pur
differentemente individuate nel tempo e nello spazio la concezione e la
formulazione del diritto, l'individuazione e la classificazione delle
istituzioni giuridiche e persino la stessa costruzione sistematica[61].
In
realtà, e prescindendo da rilievi di carattere generale, "il nucleo
familiare, più di ogni altra comunità intermedia, risent[e] degli effetti dei
continui mutamenti della società, così da far dubitare della possibilità di
poter individuare un modello familiare unico ed immutabile nel tempo [di modo
che] la famiglia si pone come entità storica variabile [sia sotto il profilo
giuridico che sotto il profilo sociologico], di cui vanno, di volta in volta,
individuati i connotati caratteristici"[62].
Nell'attuale
panorama normativo dell'ordinamento giuridico italiano la ricerca sulla nozione
di famiglia accolta positivamente necessita una delimitazione delle previsioni
legislative che, sotto diversi aspetti, si riferiscono alle problematiche
inerenti alla posizione giuridica dei rapporti realizzantesi dentro e fuori
l'ambito familiare, che occorre prendere a base. Tale preliminare rilievo
metodologico mira ad evitare che si pervenga con risultati discutibili ad
"un concetto variabile a seconda della norma e dell'istituto che si
esaminano"[63]. È opinione
diffusa, infatti, che la nozione di famiglia tenda ad identificarsi con quella
di diritto di famiglia nel senso che sia sufficiente "la presenza di una
generica funzione di tutela di posizioni fondate su vincoli familiari"[64] per caratterizzare una norma come
delimitante la nozione di famiglia. Tale opinione, di scarsa utilità pratica,
non tiene conto "del diverso modo in cui la relazione familiare assume
rilevanza per il diritto, rilevanza alla quale occorre invece esclusivamente
fare riferimento se si vuole cogliere con sufficiente approssimazione il
significato che il concetto di famiglia assume nella determinazione della
disciplina applicabile ad un dato rapporto"[65].
È facile notare, infatti, a fronte di norme che assumono "direttamente la
famiglia come fonte di effetti giuridici"[66],
ve ne sono altre per cui "l'appartenenza alla famiglia [costituisce] mero
presupposto per la qualificazione dell'elemento soggettivo di una distinta
fattispecie e di una distinta serie di effetti"[67].
Da ciò si evince che mentre "nel primo caso è la famiglia che costituisce
il punto di riferimento dell'effetto giuridico; nella seconda ipotesi, invece,
è una diversa fattispecie, autonomamente produttiva di conseguenza giuridiche,
che annovera fra i presupposti di qualificazione la posizione del soggetto
quale membro della famiglia"[68].
È dunque necessario "porre il problema della definizione del concetto di
famiglia su un piano nettamente diverso da quello della delimitazione
dell'ambito del cosiddetto diritto di famiglia. I rilievi svolti trovano una
significativa conferma sul piano della [...] storicità e [della] relatività
della nozione di famiglia che escludono che alla definizione del concetto di
famiglia possa attribuirsi un valore assoluto, mentre implicano con ogni
evidenza l'opportunità - se non la necessità - di far leva esclusivamente sui
modi di rilevanza concretamente riscontrabili in un determinato sistema
positivo".[69] Abbiamo già
rilevato ciò che già da tempo le teorie sociologiche definiscono
<<contrazione della famiglia>> con ciò cogliendo le inferenze tra i
mutamenti della compagine sociale e le strutture normative e sociali delle
istituzioni familiari. "Non è a dire, tuttavia, che il passaggio da una
concezione all'altra sia avvenuto in maniera così netta da giustificare la
conclusione che un tipo di famiglia sia esclusivo di un determinato periodo
storico o di un dato ambiente culturale"[70].
Come
avvertito in precedenza l'indagine storico-giuridica ci consente di escludere,
infine, che la società familiare possa porsi al di fuori del sistema giuridico
come "comunità originaria"[71]
od un <<organismo etico>> (Locke) collocata in un <<ordine
naturale>>. Ciò è escluso, in applicazione dei rilievi metodologici
svolti innanzi, sia dall'evoluzione storica dell'istituto familiare fin qui
delineata sia dallo stesso dato normativo della nostra Carta costituzionale il
cui art.29 "non consente un'interpretazione di questo tenore"[72]
dovendo essere letto in rapporto di specificazione della art.2 "dove
vengono riconosciuti i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle
formazioni sociali nelle quali si svolge la sua personalità"[73].
L'espressione <<naturale>> adoperata al citato art.29 Cost. deve
intendersi "come equivalente di <<sociale>> e non gia nel
senso di società fondata sul <<diritto naturale>>"[74].
È una forzatura del dato esegetico attribuire "all'espressione
<<società naturale>> un valore diverso da quello che compete alla
espressione <<formazione sociale>>", giacchè ad una lettura
più attenta al dato normativo che a quello testuale si intende come la
qualifica di società naturale, riferita alla famiglia dall'art.29 Cost., debba
essere intesa come individuante non tanto un'entità sociale prima che
giuridica, bensì, una formazione sociale ove <<naturalmente>> si
svolge la personalità dell'individuo talché l'avverbio
<<naturalmente>> sta ad indicare il luogo ove per ovvia discendenza
di affetti è dato scorgere ciascun individuo in relazione con il suo prossimo[75].
Solo così, intesa, cioè, come formazione sociale si coglie l'essenziale
storicità e relatività della nozione, siccome intrinsecamente dipendente dal
tipo di società che si considera e dal grado di evoluzione raggiunto di modo
che, per quanto attiene alla struttura ed all'organizzazione della famiglia
occorrerà sempre rifarsi alle valutazioni operanti nell'ambiente sociale.
In
definitiva, occorrerà sempre rifarsi al dato normativo nell'esaminare con gli
occhi del giurista il fenomeno sociologico <<famiglia>> e di
conseguenza il dato sociale <<famiglia di fatto>> in quanto,
siccome il regolamento approntato dal legislatore non può mai prescindere dalla
realtà concreta della nostra società, non può certo ignorarsi, alla luce dei
rilievi svolti, che luogo di sviluppo e di integrazione globale della persona
sia oggi anche la famiglia di fatto che benché di fatto è pur sempre famiglia.
Orientamenti ideologici, evoluzione terminologica e procedimenti
ermeneutici
§ 1. Considerazioni preliminari.
Le
posizioni, sovente contrastanti, assunte dalla dottrina di fronte al fenomeno
in esame sono da sempre state caratterizzate dall'uso di una variegata
terminologia ed i vari termini cui si è fatto ricorso per la definizione del
fenomeno stesso riflettono appieno le posizioni ideologiche dell'interprete
denotando il punto di partenza che contiene già in sè le premesse per
delineare, prima ancora di addurre le relative argomentazioni, il punto di
arrivo del suo processo ermeneutico . È evidente, infatti, la valenza
ideologica insita nel termine che si assume idoneo a rivelare i connotati che
si pretende di attribuire all'oggetto della
riflessione,
tanto che spesso le analisi giuridiche condotte sul tema mirano "a fornire
conferma oggettive delle valutazioni soggettive di partenza" . Dunque la
valenza positiva o negativa del dato semantico disvela il segno dei valori da
cui muove l'interprete e di conseguenza il suo atteggiamento verso il fenomeno
esaminato ove si consideri che "gli orientamenti ideologici
dell'interprete sono una componente essenziale dell'interpretazione, [...]
fenomeno additivo del precetto normativo" . Ciò spiega perchè il settore
della famiglia, intriso di una pluralità di valori - individuali, sociali, religiosi
e storici - risente più di ogni altro
dei valori dell'interprete della coscienza sociale tanto che l'analisi di un
fenomeno quale la famiglia di fatto - che nasce dissonante dall'ordine
costituito - riflette il "grado di evoluzione dell'ordinamento
giuridico" e della società nel suo
complesso. Come è stato ben notato, posto che ai diversi termini "che pur,
con innegabili differenze, finiscono per indicare il medesimo fenomeno",
si attribuisce una valore diverso da un punto di vista - non tanto o non
soltanto semantico, quanto piuttosto -
ideologico, [...] si potrebbe
ipotizzare una sorta di evoluzione dall'uno all'altro" , che corre
parallela ad una evoluzione - "qualcuno magari la chiamerebbe [...]
involuzione", nota il Dogliotti -
della coscienza e del costume sociali. Di questa evoluzione è possibile
tracciare delle fasi, in successione temporale, che attraverso il passaggio da
concubinato a convivenza more uxorio fino a giungere a famiglia di fatto sul
piano semantico, hanno caratterizzato il diverso significato - e se vogliamo le
diverse funzioni e la diversa consistenza - che il fenomeno ha assunto nel
contesto sociale prima che giuridico.
In
questa breve premessa non può non rilevarsi che, tuttavia, le analisi giuridiche condotte su posizioni ideologiche
aprioristiche conducono sovente a risultati assai opinabili , di talchè sembra
più ragionevole ritenere che, qualunque siano i canoni extra giuridici che
animano la ricerca, il giurista debba mantenersi quanto più possibile attaccato
alle maglie dell'ordinamento giuridico onde poter valutare il fenomeno in
relazione ai principi cui esso si informa, non potendo la posizione ideologica
dell'interprete,
trasformarsi
in un impasse pregiuridico denotantesi già nella scelta del termine, già di per
sé indicativo della rilevanza che a tale fenomeno si vuole o non si vuole -
come taluno sostiene - riconoscere.
In
ogni caso, qualunque siano i valori della coscienza sociale da cui si voglia
prender avvio, non è più possibile,
nell'attuale società, penalizzare o
ignorare l'esistenza di rapporti che si concretizzano in una comunione
spirituale e materiale di vita non fondata su un atto formale e da cui possono
sorgere una serie di conflitti meritevoli di regolamentazione e "al di là
della terminologia prescelta, si tratta di identificare il fenomeno cui si fa
riferimento" .
§ 2. Concubinato, convivenza more uxorio, unione
libera o famiglia di fatto?
L'uso
dell'espressione <<concubinato>> per indicare il fenomeno della
famiglia di fatto reca in sè tutto lo sfavore di cui l'istituto, a dir del vero
riconosciuto o per lo meno tollerato dal diritto romano dell'epoca
repubblicana, è stato intriso a partire dalla legislazione costantiniana sotto
l'influenza del pensiero cristiano. Prescindendo per ora dal dato storico su
cui torneremo, e soffermandoci al dato normativo, così come esso è venuto ad
evolversi nel corso di questo secolo, occorre rilevare che col medesimo sfavore
si guarda alla famiglia di fatto allorchè ad essa ci si riferisce con il
termine concubinato. Già A.C.Jemolo, aderendo pienamente alle posizioni
espresse dal Trabucchi nella monografia Natura, legge, famiglia, in Riv.
Dir.Civ,, 1877, I, 1.27, riportandosi al linguaggio comune della sua infanzia,
rammenta che piuttosto che di convivenze, nell'ipotesi di "un uomo ed una
donna che convivessero senza il vincolo matrimoniale" , si sentiva parlare
di famiglia illegittime, di "concubinato e di famiglia della mano
sinistra", posto che, come egli rileva, di vivere more uxorio - ai fini
dell'applicabilità di alcuni istituti civilistici, quali ad es. il
riconoscimento del figlio naturale ex art.269 cod. civ. ora abrogato dalla
legge di riforma del diritto di famiglia - si può parlare solo in quelle
ipotesi in cui il codice civile fa riferimento al "vivere notoriamente
come coniugi".
In
realtà l'espressione <<concubinato>> trovava nel nostro ordinamento
dei precisi riferimenti normativi - tanto che il Dogliotti nota come tale
scelta terminologica fosse l'unica ad avere un preciso riferimento normativo -
evocanti una "certa forma di sanzione" verso quelle forme di relazioni familiari dissonanti, in un certo
qual modo, dall'unica organizzazione familiare ritenuta degna di tutela, id est
la famiglia fondata sul matrimonio, inteso questo come vincolo formale
coercitivo. In questo ordine di idee l'ordinamento riferiva al concubinato
delle fattispecie penali (quasi "una sorta di adulterio continuato")
da cui scaturivano, sul piano civile, gli estremi per l'addebitabilità della
colpa nelle cause di separazione anche se, sui due versanti (penalistico e
civilistico), il legislatore non ricorreva alla medesima terminologia. Il dato
positivo, infatti, mostra come mentre il termine <<concubinato>>
era assunto come nomen juris del reato di cui all'art.560 c.p. ora abrogato,
passando al rilievo civilistico la diatriba nel corso dei lavori preparatori
del cod. civ. 1942 tra coloro i quali intendevano usare lo stesso termine che
ben evocava "il concetto di continuità" e coloro che ritenevano superfluo il dato semantico dato che era
già chiaro in ipsa re "che la convivenza debba aver avuto un certo
carattere di continuità" per
qualificare alcune vicende civilistiche, si risolse con l'esclusione del
termine <<concubinato>> dal cod.civ. proprio perchè posto nel
cod.pen. quale elemento costitutivo di una figura delittuosa .
Di
questo rilievo esegetico non sembrano tener conto quegli interpreti che, ostici
verso ogni forma di relazione familiare non supportata dal vincolo giuridico
dell'istituto matrimoniale, informano le proprie considerazioni alla valenza
negativa che il concubinato esprimeva sul piano penale. Tali interpreti, in
realtà, si attestano su posizioni estreme, talora provocatorie, spinti dalla
erronea convinzione morale che l'allargamento del concetto di famiglia alle
relazioni familiari non coniugali sia una "offesa alla santità della
famiglia legittima" , unica qualificata "dall'assunzione di un
impegno legalmente riconosciuto [...] a garanzia della società ma anche a
salvaguardia di elementari sentimenti umani".
In
modo neutro, dunque anche nel segno dell'irrilevanza, si è usato l'altro termine, quello di
convivenza more uxorio (e analogamente quella di convivenza paraconiugale), per
identificare il fenomeno in analisi.
Proprio per il suo carattere di neutralità, tale espressione è quella che fino
ad oggi ha riscosso maggior credito in giurisprudenza giacchè la formula, che sostituisce quella di
<<concubinato>>, sottende un riferimento alla semplice
"consuetudine di vita in comune, effettuata con modi, comportamenti,
atteggiamenti simili (o identici) a quelli dei coniugi" . Il
riconoscimento della convivenza more uxorio opera solo sul piano fattuale e in
quanto tale non implica necessariamente l'attribuzione di rilevanza nell'ambito
della normativa familiare in senso stretto. In tal senso si argomenta che
l'ordinamento mostra a riguardo una sorta di agnosticismo mentre la
Costituzione non accoglie tipi di organizzazioni familiari diversi dalla
famiglia legittima la quale riveste un ruolo di "centralità, cui la
convivenza more uxorio non può essere nemmeno lontanamente assimilata" .
A
dar maggior vigore a tale dato semantico ricorre, nelle costruzione degli
interpreti intesi a negare rilevanza al fenomeno della famiglia di fatto,
l'assunto per cui il legislatore mentre
"ignora ormai il termine concubinato, continua a non ignorare
l'espressione convivere come coniugi"
sintomo, questo, dell'interesse (o del disinteresse) dell'ordinamento
che, se da una parte non disdegna il termine, dall'altra si astiene dal
delineare i contorni di una struttura parafamiliare limitandosi a degli
sporadici riferimenti in una serie di norme sparse e non riconducibili ad un
sistema organico e coerente bensì ispirate a situazioni contingenti e non
generalizzabili ed in quanto tali non idonee a "intaccare il principio
generale dell'irrilevanza assoluta del fenomeno nell'ambito" della nozione di famiglia accolta.
Sempre
nel segno dell'irrilevanza, ma sulla base di argomentazioni più complesse,
informate all'ideale pluralista accolto nell'art.2 della nostra Costituzione,
si è usata l'altra espressione, quella di <<unione libera>>, per
certi versi equivalente alla precedente, che definendo le relazioni familiari
intessute al di fuori degli schemi istituzionalizzati individua nella riserva di libertà l'essenza del fenomeno .
Si intende, dunque, porre l'accento sulla inanità del tentativo di contemperare
la scelta di libertà operata dai conviventi con l'acclamata regolamentazione
giuridica di taluni aspetti che essa implica. "Libertà da un'impostazione
dirigistica" , dunque, e nello stesso tempo libertà di addivenire alle più
svariate forme associative che ben può esplicarsi nella costituzione di una
unione paraconiugale quale scelta alternativa al diritto. In tale forma di
aggregazione individuale, che rileva come "una delle varie letture [della]
norma sulle formazioni sociali"
configurantesi come norma a "fattispecie aperta" , la scelta
di convivere liberamente implica la volontà di non assumere alcun impegno
formale di ordine giuridico, di porre, cioè, il proprio rapporto al di fuori
degli schemi istituzionalizzati riservando alla propria autonomia la disciplina
dei rapporti tra le parti dovendo l'ordinamento astenersi dall'approntare una
tutela analoga a quella della famiglia legittima bensì garantire il rispetto della volontà di conviventi di
"non formalizzazione e di libertà che sono proprie della loro scelta di coppia" all'insegna della spontaneità in tutte le
sue vicende. Ma a fronte di tali considerazioni si pone la necessità di
contemperare le scelte di libertà con le esigenze parimenti rilevanti di
responsabilità verso il soggetto più
debole, sia esso uomo o donna, ove avvenga la sopraffazione della propria
personalità, posto che, come nota il Rescigno "la garanzia apprestata
dalla norma della legge fondamentale non cade direttamente sulle formazioni
sociali esplicative della personalità ma piuttosto sui diritti inviolabili
dell'uomo" che vi trovano
svolgimento. Anche su questo punto ritornerà la nostra riflessione.
La
definizione della convivenza familiare non fondata sul matrimonio, ma sul
semplice rapporto in itinere, con il termine <<famiglia di fatto>>,
chiarisce, in limine, il valore morale e giuridico che l'interprete riconosce
al quid facti. Passando dalla definizione di convivenza, sia pure more uxorio,
a quella di famiglia, si sottolinea che
non vi è più solo vivere insieme, ma anche, e soprattutto, famiglia con tutte
le implicazioni e i valori che essa comporta. Ed è evidente la valenza
ideologica insita nell'espressione: "famiglia di fatto non è solo il
convivere come coniugi, è prima di tutto <famiglia>, portatrice di valori
di stretta solidarietà (allo scopo di arricchimento e sviluppo della
personalità di ogni componente, e di educazione ed istruzione della prole), che
venivano finora considerati propri ed esclusivi della famiglia fondata sul
matrimonio" . Sulla base, di tali considerazioni "l'espressione
famiglia di fatto comincia ad incontrare sempre più fortuna in dottrina e
giurisprudenza (magari [...] anche quando la si usa per affermare l'irrilevanza
del fenomeno) man mano soppiantando quella di convivenza more uxorio e di
concubinato" , quest'ultima ormai opportunamente abbandonata in quanto
anacronistica con il dato positivo.
Come è stato pure rilevato, "la fortuna dell'espressione si
accompagna dunque ad una significativa evoluzione di idee" e l'impiego del
termine <<famiglia>> "non solo avvicina il fenomeno alla
famiglia legittima, fondata sul
matrimonio, ma nella concessione linguistica trasmette al destinatario del
messaggio un patrimonio di valori, emozioni, sensazioni [alludendo alla]
convivenza di due persone di sesso diverso, fondata sulla comunione materiale e
spirituale, allietata dalla presenza dei figli".
Tuttavia,
proprio la correlazione con l'antagonista <<famiglia legittima>> -
in un processo ermeneutico di equiparazione volto a minimizzare le differenze -
induce ad una serie di riflessioni in ordine alla necessità di "cogliere
preliminarmente l'elemento strutturale comune tra famiglia c.d.
<<legittima>> e famiglia c.d. <<di fatto>>" . Già
sul piano semantico, infatti, si pone in evidenza che, ricorrendo in entrambe
le espressioni il termine <<famiglia>>, cui deve attribuirsi
identico valore semantico, la linea differenziale tra i due istituti deve porsi
sulle ulteriori qualificazioni <<di fatto>> e
<<legittima>>, tanto che alcuni interpreti, alla ricerca di
argomentazioni di raffronto con la realtà delle qualificazioni giuridiche, si
esprimono causticamente riferendosi alla <<famiglia c.d. di fatto>>
anziché alla <<c.d. famiglia di fatto>>. Per Lipari è proprio
questo "il vizio di fondo in cui incorre la dottrina quando affronta la
problematica del rapporto familiare di fatto". A riguardo soccorrono due
ordini di argomentazioni: in primo luogo, accettare sic et simpliciter la qualificazione famiglia di fatto, se per
certi versi rappresenta una scelta ideologica, lascia comunque adito ad
ambiguità quasi che aggiungendo al termine <<famiglia>> la
qualificazione <<di fatto>> "si volesse aprioristicamente
considerare questo tipo di famiglia irrilevante per il diritto" mentre in realtà la qualificazione
<<di fatto>> connota semplicemente il modo in cui la fattispecie
viene in essere (rebus ipsis et factis e non già per
effetto di un negozio giuridico), in quanto si tratta, sul piano metodologico,
di definire la "qualità e la quantità di rilevanza" e non di risolvere la questione "di
rilevanza o irrilevanza" ; in secondo luogo, assumere per <<famiglia
di fatto>> un rapporto di tipo coniugale-familiare in cui manca un valido
matrimonio civile significa desumere la individuazione del fenomeno pratico
"in termini di qualificazione formale, ancorchè espressa per correlato
alla <<famiglia diritto>>, intesa come effetto di un atto
formalmente qualificato, il matrimonio"
di modo che "il criterio individuante del fenomeno pratico risulta
artificiosamente ricondotto ad un indice normativo" mentre sarebbe più corretto,
"affrontare il problema della individuazione del rapporto familiare in
termini empirici [posto che] la qualificazione giuridica si attaglia ad un
fenomeno pratico già individuato secondo i connotati emergenti
dall'esperienza" . Sul punto torneremo più avanti.
A
conclusione di queste brevi riflessioni sulla terminologia usata dai giuristi
che hanno inteso occuparsi del fenomeno della famiglia non fondata sul
matrimonio, senza alcuna presunzione di forzare il dato positivo, sembra lecito
proporre la ricomprensione di entrambi i concetti di famiglia legittima (come
forma istituzionalizzata) e di famiglia di fatto (quid facti che assurge a quid
iuris) nel più ampio concetto di <<famiglia legale>> , idoneo ad
abbracciare l'intero ambito delle relazioni familiari svolgentisi nella realtà
sociale variamente configurate e disciplinate dal legislatore secondo il loro
diverso ambito di operatività, onde "recuperare alla dimensione
qualificante del diritto" i
rapporti che trovano svolgimento nella famiglia di fatto. Non può dimenticarsi,
infatti che, scostandosi da posizioni aprioristiche e giusnaturalistiche,
accanto alla famiglia legittima, sicuri indici di rilevanza normativa possono
riconoscersi a rapporti familiari derivanti da altre fonti (come per es.
l'adozione o il riconoscimento del figlio naturale ed all'uopo si parla
tranquillamente di famiglia adottiva, di famiglia naturale) così come illis temporibus si parlava di
famiglia parentale (o famiglia allargata) volendo intendere una serie di
relazioni intercorrenti tra persone legate da vincolo di parentela, nella
misura in cui si producono gli effetti personali tipici del vincolo familiare.
In realtà occorre svincolarsi dall'impostazione di segno negativo della
dottrina tradizionale, secondo la quale l'alternativa si porrebbe tra rapporto
di fatto e rapporto di diritto, basata sull'erronea convinzione che il primo si
svolga su un piano metagiuridico e su ciò torneremo nella prospettiva del
rapporto inteso quale dato socialmente rilevante che in quanto tale assume
rilevanza sul piano del diritto.
Roma,
1997.
NOTE
[1]Cfr. P. RESCIGNO, Persone
e comunità, II, Padova, Cedam, 1988, p.252.
[2]G. ALPA, Giurisprudenza
di diritto privato, vol.I, Torino, Giappichelli, 1991, p.75.
[3]Id., ivi, p.84.
[4]F.D'ANGELI, La tutela
delle convivenze senza matrimonio, Torino, Giappichelli, 1995, p.1.
[5]Id., ibidem.
[6]Id., ibidem.
[7]P.DONATI, La
famiglia di fatto come realtà sociale e come problema sociale oggi in Italia,
in Iustitia, 1990, pp.239 ss.
[8]G.DE LUCA, La
famiglia non coniugale. Gli orientamenti della giurisprudenza, Cedam,
Padova, 1996, p.3.
[9]"Sessualità,
procreatività, educazione, vita quotidiana [...] pacificate nell'amore coniugale, nella filiazione, nei ruoli
familiari, nella parentela, nell'abitare, [...]", così P.VENTURA, Famiglia di fatto, famiglia legittima e
giusta familiarità, in Iustitia, 1990, p.420, che ritiene tali elementi
come componenti della "vera e giusta
familiarità" (ivi, p.417).
[10]P.VENTURA, op. cit., p.417.
[11]P.DONATI, op. cit., pp.239 ss., con ciò esclude che
possa parlarsi di famiglia laddove una relazione di convivenza, seppur stabile,
si instauri tra partner omosessuali ove quand'anche si adottasse un figlio o lo [si]
avesse tramite bio-tecnologie riproduttive, non potrebbe costituir[si] un ambiente di socializzazione valido per
quest'ultimo (ivi, p.245). In realtà sciolta positivamente la pregiudiziale
sugli omosessuali e riconosciuti come tali soggetti di diritto il principio di
eguaglianza non consente discriminazioni. Ma non è solo con le coppie di
omosessuali che chi ragiona in questi termini dovrà fare i conti, in quanto il
pluralismo familiare involge diversi nuovi problemi quali quello della famiglia
monopersonale, della famiglia in cui a far da genitori potrebbero essere più
padri o più madri uniti in relazioni eterosessuali, ciò per via della tendenza
a ricorrere sempre più, in assenza di regolamentazione, alle nuove forme di
riproduzione artificiale (si pensi al cd utero in affitto).
[12]Così P.DONATI, op. cit., p.243.
[13]È stato anche affermato più vigorosamente che "l'equiparazione richiesta tra famiglia di
fatto e famiglia legittima non solo è ingiusta rispetto al principio di (vera)
uguaglianza (non equalitarista) [...]
ma lascia intendere chiaramente che ciò cui si mira, se non altro comparativamente,
è un vero e proprio favor facti" (P.VENTURA, op. cit., p.418) in
contrasto con l'assunto secondo cui non ex
facto oritur ius sed ex iustitia oritur ius" (su cui torneremo).
[14]Tanto che secondo P.VENTURA, op. cit., il fenomeno della famiglia di fatto si
risolverebbe in non altro che una "contingente
corporalità sessuale (p.424), come tale "secondo la cultura della semplificazione propria delle società
complesse-mediali - continua lo stesso A.- inidonea a coordinare, dando loro serietà ed equilibrio, i sessi, la
sessualità, l'amore, la procreatività e la procreazione, l'educazione e la
parentela" (ivi) espressione dell'"ordine giuridico familiare" (ivi).
[15]Sulla base di tale considerazione il Donati definisce
la famiglia di fatto come unione libera
more uxorio in assenza di un matrimonio essendo questa la sola differenza che fa differenza (Cfr. op. cit., p.244).
[16]Id., ibidem.
[17]È stato rilevato (Cfr. P.VENTURA, op. cit., p.417)
come in realtà mentre da un lato l'ordinamento giuridico continuerebbe a riconoscere
come modello familiare la sola famiglia legittima (società naturale fondata sul
matrimonio, art.29 Cost.) , dall'altro si afferma "progressivamente nel tempo , ma regressivamente in ipsa re, un modello
sfigurato e deformato di famiglia le cui caratteristiche normative ... sono: il
divorzio, l'aborto, il controllo delle nascite, la gestione statale
dell'educazione, la mancanza di ogni vera politica per la famiglia"
(ivi, p.417).
[18]P.DONATI, op. cit., p.240.
[19]P.VENTURA, op. cit., p.416 ss.
[20]P.DONATI, op. cit., p.240.
[21]F.D'ANGELI, op. cit., p.2, in particolare V. il
rimando sub nota 2).
[22]Id., ibidem.
[23]Cfr. A.MANOUKIAN, Famiglia
e matrimonio nel capitalismo europeo, Bologna, Mulino, 1974.
[24]Appare chiaro come un ruolo importante nel passaggio dall'uno
all'altro stadio lo abbia giocato la trasformazione della piccola e media
impresa intorno a cui nell'800 ruotava l'intera macchina industriale fagocitata
dalle grandi multinazionali (trans o multi-nazionali) e dalle grandi catene di
distribuzione (le grandi famiglie industriali oggi, si pensi alle grandi
famiglie dell'acciaio od in Italia dell'automobile, tendono a scomparire dalla
realtà economica). Oggi si pone per lo meno un ripensamento del ruolo della
famiglia come fattore propulsivo del sistema economico in termini di
riequilibrio dello stesso attraverso la valorizzazione della piccola e media
impresa (Cfr. R.B.REICH, L'economia delle nazioni, Il Sole 24
Ore, Milano, 1991)
[25]"Società
tecnologica, quantitativamente complessa, dei sistemi informativi che formano
en masse la pubblica opinione e premono con urgenza sui sistemi normativi"
(così, P.VENTURA, op. cit., p.415 che rimanda per una completa esposizione sui
temi della complessità a V.CESAREO, Società
complessa e cultura di massa, in Aggiornamenti sociali, 1989).
[26]F.D'ANGELI, op. cit., p.5; ma v. per un residuo di
funzioni politiche in ordine all'educazione della prole, C.M.BIANCA, Diritto civile. 2 La famiglia le successioni,
Giuffrè, Milano, 1989, p.7.
[27]F.D'ANGELI, op. cit., p.6.
[28]Id., ibidem.
[29]Id., ibidem.
[30]In termini negativi coglie quest'aspetto P.VENTURA,
op. cit., , 416, secondo cui la "morte
della famiglia" sarebbe dovuta all'affermarsi di teorie e relative
prassi nel segno dell'anti-edipismo,
della rivoluzione sessuale, e della società senza padre, i cui maggiori
assertori sono W.REICH, La rivoluzione
sessuale, Milano, 1963; H.MARCUS, Eros
e civiltà, Torino, 1968; D.COOPER, La
morte della famiglia, Torino, 1962.
[31]G.DE LUCA, op. cit., p.1, nota 1.
[32]In ordine alle funzioni politiche di cui la famiglia
risulta oggi spogliata rispetto al passato, valgono le stesse considerazioni
svolte relativamente alle funzioni economiche giacchè le leve del potere
politico, nell'800 saldamente in mano alle diverse caste familiari, oggi si
allocano in occulte lobby economiche non riconducibili ad un gruppo legato da
relazioni familiari.
[33]Sul piano sociologico il dato che appare inconfutabile
è la crescente privatizzazzione della
famiglia che proietta il concetto di famiglia verso quel modello di "famiglia auto-poietica"
definita dal Donati (op. cit., p.239) ossia "famiglia
che genera da sè le proprie strutture" facendosi sempre più norma a se stessa (ibidem). Lo stesso Autore rileva come tale fenomeno
era stato già in passato osservato da
"C. Lèvi-Strauss .. allorchè
avvertiva che la famiglia non è mai veramente stata prossima a scomparire
quanto piuttosto è sempre stata prossima a chiudersi in se stessa"
(Id., p.240).
[34]S.RODOTÀ, La
riforma del diritto di famiglia alla prova. Principi ispiratori ed ipotesi sistematiche,
in Il nuovo diritto di famiglia, Atti
del Convegno organizzato dal Sindacato Avvocati e Procuratori di Milano, 1976,
p.3 ss.
[35]Ci riferiamo (Cfr. M.BELLOMO, voce Famiglia. Diritto intermedio, in Enc.
Dir., vol.XVI, pp.744 ss.) all'epoca medioevale in cui le istituzioni familiari
rivelavano una duplice natura involgente da una parte i sentimenti e le idee
dei suoi componenti e dall'altra i cardini di una struttura avente una
giustificazione nel rapporto con la realtà politica degli ordinamenti superiori
segnando l'ascesa o la decadenza dei singoli aggregati familiari.
[36]F.D'ANGELI, op. cit., p.4.
[37]BUSNELLI-SANTILLI, La
famiglia di fatti, in Commentario al
diritto italiano della famiglia, Cedam, Padova, Tomo 1, VI, pp.757 ss.
[38]Id., p.758.
[39]Id., ibidem.
[40]Id., ibidem.
[41]Id., p.759.
[42]Id., p.758.
[43]Id., p.759.
[44]G.PIEPOLI, Realtà
sociale e modello normativo nella tutela della famiglia di fatto, in Riv.
trim. dir. e proc. civ., 1972, p.1433.
[45]Id., p.1434.
[46]Secondo alcuni sociologi del diritto, al contrario, la
famiglia dovrebbe essere di diritto fin dall'origine traendo la propria
giuridicità da "ragioni
metafisico-religiose" ed "etico-giuridiche"
(Così, P.VENTURA, op. cit., p.419, il quale ammonisce il giurista che "non vede bene l'originarietà del
<<diritto naturale vigente>>" secondo le costruzioni
operate nella nostra filosofia del diritto da S. COTTA, di cui richiama lo
scritto Giustificazione e obbligatorietà
delle norme, Milano, 1981, p.131)
[47]BUSNELLI-SANTILLI, op. cit., p.758. In questa
prospettiva non può condividersi dunque la tesi del Donati (op. cit.) secondo
cui essendo una ristretta minoranza il numero delle coppie non unite in
matrimonio rispetto alle coppie normali
(Cfr. i dati statistici riportati dallo stesso Autore che in realtà possono ben
ritenersi sottostimati per via della reticenza degli interessati anche se di
tale rilievo l'A. non tiene conto nel trarre le sue conclusioni qui riportate)
nella loro equiparazione occorre valutare l'impatto in termini di svalorizzazione di queste ultime.
[48]Lo stesso Autore nota come questa corrispondenza
necessaria sia "il vizio logico di
origine" del tradizionale modo di affrontare il problema. Nel
proseguio del presente elaborato sarà posto l'accento sullo speculare processo
di giuridificazione e degiuridifcazione del rapporto familiare.
[49]Si veda, ad es., quanto sostiene P.VENTURA, op. cit.,
pp.417-418, secondo il quale "le
pretese della famiglia di fatto indeboliscono la famiglia legittima",
luogo a suo avviso della "giusta
familiarità", dando vita ad una anti-familismo
che persegue "la morte della
famiglia attraverso il diritto".
[50]L'espressione <<famiglia legale>> è presa
in prestito dal Donati (op. cit) ma con un significato diverso avendo egli
voluto indicare con essa quella che i giuristi e qui nel testo definiscono
legittima onde precisare che la propria osservazione è condotta in chiave
sociologica e non giuridica.
[51]Non condivisibili, in questa chiave, sembrano poi le
posizioni di coloro che "agitando il
fantasma della famiglia di fatto presagiscono l'indebolimento ulteriore della famiglia legittima attraverso
l'affermazione definitiva dell'inutilità del matrimonio [...] come già avvenuto col divorzio e con
l'aborto e come sta avvenendo - ammoniscono - con l'eutanasia (magari tra coniugi) [...] seguendo un obiettivo non dichiarato" (così, P.VENTURA, op.
cit., p.419).
[52]G.PIEPOLI, op. cit., p.1444.
[53]Cfr. P.RESCIGNO, Relazione
al Seminario su famiglia e diritto a
vent'anni dalla riforma, (svoltosi in Pavia p.sso il Collegio Ghisleri in
collaborazione con la locale Facoltà di Giurisprudenza ed organizzato dai
Proff. A.Belvedere e C.Granelli.) in Riv. Dir. Civ., 1995, II, 692.
[54]Così, I.MESTRONI, Il
seminario pavese su famiglia e diritto a vent'anni dalla riforma, cit.,
commentando l'intervento del Rescigno di cui alla nota precedente.
[55]Id., ibidem.
[56]Id., ibidem. In realtà occorre notare come l'intero testo
Costituzionale abbia natura compromissoria da cui la possibilità di una
pluralità di apprezzamenti e di
complessi bilanciamenti dei valori costituzionali (Cfr. M.LUCIANI, Il voto e la democrazia, Roma, Editori
Riuniti, 1991, pp.6 ss., il quale, sul compromesso Dossetti-Togliatti, in
materia di diritti fondamentali e sulle tracce profonde del pensiero sociale
cattolico nella Costituzione, richiama A.BALDASSARRE, Diritti inviolabili, in Enc.Dir., Vol.XI, Roma, 1989, pp.8 ss. e
16).
[57]G.DE LUCA, op. cit., p.2, nota 2.
[58]È Jhon Locke che rompendo una tradizione ultra
millenaria per primo riferisce l'istituto familiare al diritto naturale su cui
v.oltre nel testo. I giuristi desumono il concetto di diritto naturale dalle
fonti romane rifacendosi all'incipit
delle Istituzioni di Giustiniano (J.1, 2, pr.) dove viene posto il concetto di jus naturale inteso come legge di natura
comune a tutte le creture viventi (<<quod
natura omnia animalia docuit>>) da cui <<descendit maris atque feminae coniugatio quam nos matrimonium
appellamus>>.
[59]Ci riferiamo all'indagine storica condotta intorno
alla nozione di famiglia accreditata dai giuristi romani.
[60]E.VOLTERRA, voce Famiglia,
Diritto romano, in Enc. Dir., cit.,
p.723.
[61]Sotto l'influenza di tale metodo d'indagine si
affermava una duplice concezione di Famiglia: l'una identificantesi nel gruppo
domestico basato sul matrimonio e formata da individui uniti fra loro da
vincoli di sangue e di affinità; l'altra concretizzantesi in un organismo ben
più ampio e prescindendo da qualsiasi vincolo di sangue che sarebbe tenuta
unita da motivi di ordine e di difesa nonché dalla sottoposizione all'autorità
di un capo. Da questa seconda concezione per lungo tempo è quella dominante
nasce l'idea della famiglia come gruppo politico come gruppo cioè all'interno
del quale trovano svolgimento delle funzioni d'ordine politico oggi proprie
dello Stato ma prima ancora che nascesse lo Stato romano della civitas, come
gruppo cioè che avrebbe preceduto lo Stato-città. Questa teoria prospettata con
maggior vigore dal Bonfante nel 1888 e pressoché unanimemente accolta, prendeva
spunto e fondamento da una serie di indizi in epoca più recente sottoposti ad
attenta critica volta a mostrane l'infondatezza e la non rispondenza a quanto
risulta dalle fonti.
[62]G.DE LUCA, op. cit., p.2, nota 2.
[63]P.BARCELLONA, voce Famiglia.
Diritto civile, in Enc. Dir., cit., p.779.
[64]Id., ibidem.
[65]Id., pp.779-780.
[66]Id., ibidem.
[67]Id., ibidem.
[68]Id., ibidem; (V. ad esempio gli artt.1022-1023); In
tale prospettiva è facile comprendere le ragioni di una maggiore esigenza di
regolamentare il fenomeno della famiglia di fatto posto che se l'appartenenza
alla famiglia è un mero presupposto di una certa qualificazione giuridica tale
qualificazione è riferita alla sostanza presente anche nella famiglia di fatto
e sarebbe ingiusto negare tale qualificazione ad un soggetto convivente in una
famiglia di fatto per cui occorre estendere il nucleo di norme che delimitano
la famiglia legittima onde potervi comprendere il concetto di famiglia di fatto
e questo potrebbe essere un rilievo da muovere a coloro i quali sostengono che
il legislatore si dovrebbe astenere da qualsiasi intervento non essendo
necessario riconoscere tale unione per assicurare una tutela.
[69]P.BERCELLONA, op. cit., p.780, nota 6.
[70]Id., ibidem.
[71]G.DE LUCA, op. cit., ivi.
[72]Id., ibidem.
[73]Id., ibidem.
[74]Id., ibidem.
[75]Illuminanti sono sul punto le argomentazione svolte da
G.ALPA, I sentimenti ed il diritto,
in La nuova Giur. civ. comm., 1995, II, pp.354-356, su cui oltre nel testo.
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