Famiglia di fatto: posizione del problema

 

a cura del Dott. Maurizio Aloise

(lo scritto riproduce una parte della mia tesi di laurea  in corso di elaborazione ed aggiornamento)

 

 

Introduzione

Il fenomeno della "famiglia di fatto", la sua posizione giuridica nel sistema dei rapporti di diritto privato, introduce una serie di problematiche che travalicano il profilo strettamente giuridico per rispondere ad istanze di varia natura. Nel nostro, come negli altri paesi di tradizione cattolica, le posizioni sul tema della famiglia tout court risentono in larga parte del secolare ruolo di preminenza svolto a riguardo dalla dottrina cattolica e, per converso, dalle dottrine dell'autoritarismo laico, per cui è chiaro che apud nos ogni tentativo di allontanarsi da quella nozione di famiglia rispondente ai canoni della Chiesa o dello Stato non trova unanimi consensi. Oltre che all'influenza esercitata dal pensiero cattolico, il tema della famiglia, intesa quale formazione sociale intermedia tra lo Stato e l'individuo, si presta ad una serie di valutazioni da ricondurre alle istanze laiche del pluralismo, votate, più che altro, a considerare le formazioni sociali e fra queste la comunità familiare come tutelate nei confronti dello Stato e degli altri gruppi sociali con ciò trascurando le posizioni del singolo all'interno del gruppo[1]. Naturalmente, al diritto spetta l'arduo compito di mediare le contrapposte posizioni cercando di dare ad ogni fenomeno sociale la sua giusta collocazione negli schemi dell'ordinamento giuridico, componendo il conflitto che ogni fenomeno nuovo, immancabilmente, suscita fra i diversi orientamenti ideologici o le diverse istanze morali e religiose. Ma molto spesso le stesse posizioni dei giuristi in ordine a fenomeni nuovi, quale quello della famiglia di fatto, risentono delle varie spinte contrastanti che derivano dalle loro contrapposte tendenze ideologiche, morali o religiose e che li inducono a partire da posizioni divergenti per arrivare spesso a conclusioni contrastanti. La diatriba sull'ammissibilità di una nozione di famiglia che vada al di là della tradizionale idea cattolica, che si pretende accolta in via esclusiva nel nostro ordinamento costituzionale, si riflette già sulla stessa scelta, da parte dei giuristi, della terminologia con la quale si vuole indicare il fenomeno de quo, essendo caratterizzate, come vedremo,  le posizioni contrastanti della dottrina dalla scelta di termini diversi (concubinato, famiglia non famiglia, unione libera, famiglia di fatto) già di per sé indicativi della rilevanza che a tale fenomeno si vuole o non si vuole, come taluno sostiene, riconoscere. Tuttavia sembra più ragionevole ritenere che, qualunque siano i canoni extra giuridici che animano la ricerca, il giurista debba mantenersi quanto più possibile attaccato alle maglie dell'ordinamento giuridico onde poter valutare il fenomeno in relazione ai principi cui esso si informa, non potendo la posizione ideologica dell'interprete, trasformarsi in un pregiudizio già nella scelta del termine. E' chiaro dunque che, alla luce di quanto detto, il termine famiglia di fatto sembra il più idoneo ad indicare il fenomeno di due partners che hanno scelto di vivere la propria comunione spirituale e materiale di vita senza la formale consacrazione con il patto matrimoniale; la scelta del termine famiglia di fatto sembra, infatti, allo stato attuale, la più rispondente alle esigenze ed alla tecnica del diritto che contrappone i rapporti di diritto ai rapporti di fatto in relazione alla considerazione che si tratti di rapporti già muniti di riconoscimento giuridico ovvero ancora privi, anche se meritevoli, di tale riconoscimento (si pensi allo stesso linguaggio del codice che parla di società di fatto, prestazioni lavorative di fatto, ecc.).

A questo punto, tenuto conto "che gli orientamenti ideologici dell'interprete sono una componente essenziale dell'interpretazione"[2], l'analisi del fenomeno della famiglia di fatto, condotta attraverso le tre formanti dell'ordinamento (la formante dottrinale, la formante legislativa, la formante giurisprudenziale), non può non partire dall'assunto che, qualunque siano i valori della coscienza sociale da cui si voglia prender avvio,  non è più possibile, nell'attuale società, penalizzare o  ignorare l'esistenza di rapporti che si concretizzano in una comunione spirituale e materiale di vita non fondata su un atto formale e da cui possono sorgere una serie di conflitti meritevoli di regolamentazione se si affronta il problema in chiave di rapporto anzichè in funzione dell'atto.

A  riguardo le divisioni della dottrina riflettono l'evolversi della coscienza sociale tanto che dalle posizioni della dottrina più risalente, votata ad un atteggiamento ostile, alle posizioni della dottrina oggi prevalente, che riconosce la rilevanza giuridica del fenomeno, si è passati attraverso le posizioni via via più tenui dell'indifferenza verso il fenomeno della famiglia di fatto o della sua irrilevanza giuridica sotto il duplice profilo della sua illiceità o della sua liceità. L'analisi critica di quella dottrina ormai superata che penalizzava ogni forma di convivenza paramatrimoniale, anzi riteneva il fenomeno pericoloso per la stabilità sociale, offre interessanti spunti per prendere posizione sul fenomeno fino ad arrivare ad indicare le soluzioni possibili al problema se sia auspicabile o inopportuno (in quanto il fenomeno per sua natura resterebbe fuori dalle maglie del diritto) un intervento del legislatore che, in maniera organica, operi il riconoscimento giuridico di questa formazione sociale; e nell'ipotesi affermativa di quale tenore e portata debba essere tale intervento (equiparazione totale alla famiglia legittima o semplice assenza di discriminazione tra le due famiglie stante la loro diversità).

Dal canto suo, il legislatore, fino ad oggi astenendosi dal prendere posizione sull'annoso problema, si è limitato a dettare alcune norme che riguardano direttamente o indirettamente la famiglia di fatto solo  sotto alcuni suoi aspetti particolari (il più importante riguarda il rapporto di filiazione naturale). Le carenze sono avvertite anche in tema di legislazione penale dove ai fini dell'applicabilità della norma incriminatrice i maltrattamenti in famiglia è auspicabile un intervento chiaro del legislatore. Di particolare interesse poi risulta qualche considerazione sugli interventi operati dal legislatore regionale, coinvolgenti il rapporto famigliare, nell'ambito della sua seppur ristretta competenza in materia (significative sono alcune LL.rr. Em. Rom. in tema di tutela dei minori).

Questa situazione di incertezza si riflette immancabilmente sugli orientamenti della giurisprudenza che si attesta su posizioni contrastanti. Mentre nella giurisprudenza di merito sono prevalenti le pronunce di senso favorevole, è soprattutto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che si ravvisa una posizione di sfavore verso il fenomeno; e sebbene in alcuni casi la stessa S.C. non nega la rilevanza del fenomeno, anche nelle pronunce che depongono a favore di un riconoscimento, le posizioni della Corte si risolvono in una penalizzazione della convivenza. Ancora tra progressi e indietreggiamenti viaggia la giurisprudenza della Corte Costituzionale, che pur non volendo "negare qualsiasi rilevanza alla convivenza ... non ha ancora colto l'estro per rafforzarne la sua protezione costituzionale"[3].

A questo punto sembra lecito porsi il quesito di quale futuro si prospetti nel nostro ordinamento per la famiglia di fatto. A tal fine, posto che una regolamentazione legislativa della famiglia di fatto non contrasta con le direttive tracciate dalla Costituzione in tema di formazioni sociali (art.2) e di famiglia in particolare (artt.29, 30, 31), risulta di estrema utilità l'analisi di alcuni disegni di legge presentati in Parlamento tra i quali particolarmente interessante è il progetto di legge presentato dal P.S.I. nel 1988 che meno degli altri si presta alle critiche mosse verso la regolamentazone del fenomeno. Ovviamente, nell'attuale evoluzione degli ordinamenti europei, infine, è doveroso fare cenno alle recenti posizioni del Parlamento europeo che ha approvato una risoluzione (Ris. 8 febbraio 1994) volta a deprecare le discriminazioni contro le unioni omosessuali, la quale è significativa in ordine all'attenzione da prestare ad ogni forma di convivenza in cui si esplichi la personalità dell'individuo in quanto soggetto di diritto.

 

 

La famiglia di fatto come realtà sociale

 

§ 1. Profili sociologici.

Nel corso di questi ultimi decenni sono emerse nella realtà sociale, ponendosi all'attenzione di giuristi e studiosi delle vicende umane, nuove forme di relazioni familiari che reclamano a gran voce un riconoscimento sul piano del moralismo sociale nonché sul piano giuridico. Dal punto di vista sociologico il problema è stato affrontato ponendosi di fronte all'interrogativo circa il tipo di riconoscimento che occorre dare al fenomeno sul piano sociale e sociologico in dipendenza della nozione di famiglia sulla base della quale il fenomeno stesso va definito.

Nell'attuale momento storico la ricerca sociologica propende a porre quale "cellula di base dell'organizzazione sociale nonché [quale] luogo di integrazione globale e socializzazione della persona"[4], la sola famiglia fondata sul matrimonio, organismo istituzionalizzato, ben definito nei suoi contenuti giuridici, sociali e culturali a cui i componenti la collettività avrebbero scelto di affidare fondamentalmente "ruoli educativi, affettivi e di sostegno economico [...] in un clima di reciproca solidarietà"[5] e, vieppiù, la funzione di garantire la "conservazione e quindi la stabilità del sistema socio-economico e politico in cui si inserisce"[6] attraverso i meccanismi del consenso e del controllo sociale. In questa prospettiva, inerenti alla definizione sociologica di famiglia sarebbero esclusivamente quegli organismi strutturalmente funzionalizzati a tali finalità. Sul piano sociologico, dunque, può aversi famiglia, nel senso delineato, solo ove ricorrano tre conditiones sine quibus non, essenziali a garantirne l'idoneità al ruolo assegnatole. Esse sono: a)una "relazione di reciprocità piena fra persone che stanno fra di loro in rapporti di coppia stabile"[7]; b)la presenza del "matrimonio, quale atto giuridico solenne da cui discendono diritti e doveri codificati dal legislatore"[8] che ne garantiscono la stabilità; c)la convivenza quotidiana nella condivisione degli aspetti materiali e spirituali del rapporto e nella predilezione delle relazioni sessuali pressoché esclusive che ne consentono la riproduzione[9]. Condotta in questi termini la riflessione sociologica, non è dato individuare una struttura familiare qualora manchi una delle suddette condizioni, non potendo ritenere tale una semplice aggregazione di individui, che secondo taluno darebbe vita ad una semplice "prassi erotico-affettivo-sociale definitivamente spontanee e naturali"[10] ancorché sostenuta dai medesimi affetti[11]. Cosicché riconoscere la famiglia di fatto significherebbe, e non potrebbe non significare sul piano sociologico, attribuire "rilevanza giuridica [al semplice] fatto sociale della convivenza"[12]-[13] sempre che essa intercorra tra due persone di sesso diverso[14] stabilmente assieme[15] dando vita ad un modello analogo all'organismo familiare, ma solo analogo, nel senso che l'analogia "tocca solo alcuni caratteri fondamentali [per cui] il concetto di unione libera coglie meglio il contenuto di questa specifica relazione sociale [...] occorrendo uno sforzo di immaginazione sociologica"[16] per non confondere famiglia e non-famiglia[17].

Nella cd. "società complessa odierna"[18], sempre più votata a concedere ampio spazio "alle preferenze e ai comportamenti dei singoli"[19], le tendenze evolutive della famiglia non possono essere avulse dalle "influenze sistemiche"[20]. La rapidità delle trasformazioni "delle strutture socio-economiche e delle condizioni di vita che queste determinano [nonché] dei modelli culturali e di valori"[21] ha investito le molteplici sfere relazionali dell'intera società sottoponendo l'istituto familiare ad un processo evolutivo verso "l'alterazione progressiva della sua fisionomia strutturale e delle sue funzioni"[22].

L'analisi storico-sociologica[23] ha posto in risalto come sul piano delle funzioni l'organismo familiare nel passaggio dall'arcaica società agricola[24] alla odierna società multimediale[25] post industrializzazione è stato liberato dalle "funzioni politiche ed economiche"[26] mentre sul piano della struttura la dislocazione delle fonti di lavoro ha dapprima disgregato il nucleo parentale recidendo il vincolo patriarcale che in una struttura fortemente gerarchica consentiva una "gestione autoritaria dei rapporti interpersonali"[27] che vi si svolgevano, indi ha ridotto l'organismo familiare al solo nucleo coniugale che oggi va assumendo nuove configurazioni sotto la spinta di una "maggiore libertà soggettiva dei singoli membri all'interno del nucleo"[28] attraverso un processo di "democratizzazione dei rapporti tra i coniugi, che in modo spontaneo si sono evoluti nell'instaurazione di relazioni paritetiche fondate sull'accordo, facilitate o meglio, conseguenti sia all'emancipazione sociale ed economica della donna, sia alla più precoce autonomia dei figli spinti all'esterno del nucleo familiare dalle possibilità di indipendenza economica e culturale"[29]-[30]. Si è, dunque, sviluppato un modello di gruppo familiare, "legato da vincoli di affetto e di interessi comuni e dominato da libertà ed autonomia dei suoi componenti"[31], che liberato da funzioni politiche[32] ed economiche si prepone a svolgere precipuamente un ruolo educativo e culturale fondamentale e sul piano sociale ad assolvere la funzione prioritaria di solidarietà e di sostegno affettivo[33]. Come è stato notato da un fine giurista, già nella riforma del diritto di famiglia operata con la L.151/75 si "privilegia la spontaneità degli affetti sulle costrizioni formali".[34]

Persino quando, in epoche storiche[35], la famiglia ha indubbiamente assunto una connotazione politica, questa non ne fu mai la sola ed esclusiva substantia in quanto, pur influenzandone la struttura, alla base essa rimaneva una comunione di affetti.

 

 

§  2.  Famiglia di fatto, società e diritto.

Se si ha riguardo alle funzioni della famiglia, ossia alle istanze sociali ed individuali che trovano svolgimento in essa, alla luce di quanto l'analisi storico-sociologica riportata ha messo in evidenza (ut supra), appare chiaro come nella stessa individuazione del fenomeno familiare possa ritenersi superato il concetto sociologico di famiglia non certamente rispondente alla realtà sociale delle relazioni familiari se lo si vuole limitare al modello tradizionalmente definito legittimo, in quanto la "saldezza e la stabilità della famiglia [possono farsi derivare] più dalla qualità e dalla intensità delle sue relazioni interpersonali che dalle necessità delle sue funzioni, talché sebbene espropriata, ma in certi casi anche liberata, da compiti che una volta erano di sua esclusiva competenza, [...] oggi si pone come uno dei luoghi, se non l'unico, di sviluppo e integrazione globale della persona"[36].

Questa sembra la sola impostazione accettabile per il giurista che voglia accingersi a condurre una riflessione sul dato sociale in esame se si ragiona, come è dovere, in termini di sviluppo e realizzazione del singolo nella formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art.2 Cost.), cogliendo i mutamenti del costume in atto.

La forza che taluni intendono attribuire al dato sociologico, tentando di incasellare in schemi tecnico-giuridici materiali sociologici non inquadrabili in tali schemi, e "l'intenso appello ai valori, che a tale dato è immanente"[37], si risolvono in "una illusoria semplificazione"[38] del fenomeno famiglia di fatto impedendo al giurista una "adeguata sistemazione giuridica"[39] del dato sociale emergente nelle convivenze non fondate sul matrimonio.

Parimenti errato sarebbe per il giurista procedere nella riflessione muovendo da "modelli precostituiti [o] desunti, più o meno arbitrariamente"[40] dal modello di famiglia che si pretende disciplinato dalla legge in via esclusiva.

Bisogna dunque che il giurista muova "non già dalle elaborazioni sociologiche dell'analista empirico [nè tanto meno]  dalle costruzioni dogmatiche dell'interprete delle istituzioni normative consacrate dalla tradizione giuridica"[41] bensì da un criterio desunto dalla variegata fenomenologia presa in esame evitando di incorrere nell'equivoco di "una pretesa uniformità nella diffusione sociale del fenomeno"[42] ma cogliendo di esso "il nucleo funzionale specifico e costante"[43].

Occorre, dunque, "ricercare un criterio unitario, non contingente ed empirico"[44], non potendosi pretendere di "sottomettere la realtà sociale ed il costume << ad una regola istituzionale ancorata a un valore etico assoluto>>"[45]-[46] nè tanto meno di superare lo scarto tra la diffusione e l'accettazione sociale del fenomeno.

Infine occorre rompere le inferenze che forzatamente si asseriscono intercorrenti imprescindibilmente tra "difesa del matrimonio e svalutazione giuridica della famiglia di fatto"[47] oppure, al contrario, tra critica dell'istituzione (famiglia legittima) e integrale valorizzazione giuridica dell'emergenza sociale (famiglia di fatto)[48]-[49]. Ciò posto sembra lecito, senza alcuna presunzione di forzare determinate categorie sociologiche, proporre la ricomprensione di entrambi i concetti di famiglia legittima (come forma istituzionalizzata) e di famiglia di fatto (per ora dato sociale emergente nel diritto) nel più ampio concetto di famiglia legale[50] idoneo ad abbracciare l'intero ambito delle relazioni familiari svolgentisi nella realtà sociale variamente configurate e disciplinate dal legislatore secondo il loro diverso modo di atteggiarsi e con ciò, dunque, cercando di condurre anche la famiglia di fatto nell'alveo del diritto[51].

Il problema - come avverte chi se ne interessava 20 anni addietro - è di stretto diritto positivo e non può essere risolto sulla base di aprioristiche affermazioni o di richiami ad un <<ordine naturale>>[52].

Come ha ben rilevato il Rescigno[53] tale processo di <<democratizzazione della famiglia>> è inquadrabile nelle stesse scelte normative operate nel nostro ordinamento Costituzionale in quanto, "il merito di aver iniziato questa radicale trasformazione spetta innanzitutto alla Costituzione"[54] anche se indubbiamente il legislatore costituente intese enunciare un programma piuttosto che lo "specchio di una realtà capace di attuarsi"[55] sulla base di un "atteggiamento compromissorio" inteso a conciliare le scelte operate con chi era alieno da "qualsiasi intento anche latamente rivoluzionario"[56].

 

 

§. 3.  La famiglia come entità storica variabile. Rilievi metodologici.

Per effetto dell'influenza esercitata nel campo storico-giuridico da alcune teorie sociologiche "si è giunti a configurare la famiglia come comunità originaria, pregiuridica ... come società di <<diritto naturale>>"[57]-[58].

Già in analisi storiche più risalenti[59] riferite alle fonti romane "la sfera d'indagine dei romanisti in ordine al problema della famiglia"[60] si era dilatata a dismisura conducendo a conclusioni discutibili e discusse per effetto dell'influenza delle teorie del Morgan e del Summer Maine, a cui era stato attribuito un valore assoluto tanto che esse hanno avuto un'incisiva rilevanza nella formulazione di concezioni economiche e politiche di ordine generale, basate sul presupposto, recentemente sottoposto a fondata critica, dell'applicabilità al diritto delle leggi sull'evoluzione biologica della specie umana che consente di ritenere comuni a tutte le società pur differentemente individuate nel tempo e nello spazio la concezione e la formulazione del diritto, l'individuazione e la classificazione delle istituzioni giuridiche e persino la stessa costruzione sistematica[61].

In realtà, e prescindendo da rilievi di carattere generale, "il nucleo familiare, più di ogni altra comunità intermedia, risent[e] degli effetti dei continui mutamenti della società, così da far dubitare della possibilità di poter individuare un modello familiare unico ed immutabile nel tempo [di modo che] la famiglia si pone come entità storica variabile [sia sotto il profilo giuridico che sotto il profilo sociologico], di cui vanno, di volta in volta, individuati i connotati caratteristici"[62].

Nell'attuale panorama normativo dell'ordinamento giuridico italiano la ricerca sulla nozione di famiglia accolta positivamente necessita una delimitazione delle previsioni legislative che, sotto diversi aspetti, si riferiscono alle problematiche inerenti alla posizione giuridica dei rapporti realizzantesi dentro e fuori l'ambito familiare, che occorre prendere a base. Tale preliminare rilievo metodologico mira ad evitare che si pervenga con risultati discutibili ad "un concetto variabile a seconda della norma e dell'istituto che si esaminano"[63]. È opinione diffusa, infatti, che la nozione di famiglia tenda ad identificarsi con quella di diritto di famiglia nel senso che sia sufficiente "la presenza di una generica funzione di tutela di posizioni fondate su vincoli familiari"[64]  per caratterizzare una norma come delimitante la nozione di famiglia. Tale opinione, di scarsa utilità pratica, non tiene conto "del diverso modo in cui la relazione familiare assume rilevanza per il diritto, rilevanza alla quale occorre invece esclusivamente fare riferimento se si vuole cogliere con sufficiente approssimazione il significato che il concetto di famiglia assume nella determinazione della disciplina applicabile ad un dato rapporto"[65]. È facile notare, infatti, a fronte di norme che assumono "direttamente la famiglia come fonte di effetti giuridici"[66], ve ne sono altre per cui "l'appartenenza alla famiglia [costituisce] mero presupposto per la qualificazione dell'elemento soggettivo di una distinta fattispecie e di una distinta serie di effetti"[67]. Da ciò si evince che mentre "nel primo caso è la famiglia che costituisce il punto di riferimento dell'effetto giuridico; nella seconda ipotesi, invece, è una diversa fattispecie, autonomamente produttiva di conseguenza giuridiche, che annovera fra i presupposti di qualificazione la posizione del soggetto quale membro della famiglia"[68]. È dunque necessario "porre il problema della definizione del concetto di famiglia su un piano nettamente diverso da quello della delimitazione dell'ambito del cosiddetto diritto di famiglia. I rilievi svolti trovano una significativa conferma sul piano della [...] storicità e [della] relatività della nozione di famiglia che escludono che alla definizione del concetto di famiglia possa attribuirsi un valore assoluto, mentre implicano con ogni evidenza l'opportunità - se non la necessità - di far leva esclusivamente sui modi di rilevanza concretamente riscontrabili in un determinato sistema positivo".[69] Abbiamo già rilevato ciò che già da tempo le teorie sociologiche definiscono <<contrazione della famiglia>> con ciò cogliendo le inferenze tra i mutamenti della compagine sociale e le strutture normative e sociali delle istituzioni familiari. "Non è a dire, tuttavia, che il passaggio da una concezione all'altra sia avvenuto in maniera così netta da giustificare la conclusione che un tipo di famiglia sia esclusivo di un determinato periodo storico o di un dato ambiente culturale"[70].

Come avvertito in precedenza l'indagine storico-giuridica ci consente di escludere, infine, che la società familiare possa porsi al di fuori del sistema giuridico come "comunità originaria"[71] od un <<organismo etico>> (Locke) collocata in un <<ordine naturale>>. Ciò è escluso, in applicazione dei rilievi metodologici svolti innanzi, sia dall'evoluzione storica dell'istituto familiare fin qui delineata sia dallo stesso dato normativo della nostra Carta costituzionale il cui art.29 "non consente un'interpretazione di questo tenore"[72] dovendo essere letto in rapporto di specificazione della art.2 "dove vengono riconosciuti i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali nelle quali si svolge la sua personalità"[73]. L'espressione <<naturale>> adoperata al citato art.29 Cost. deve intendersi "come equivalente di <<sociale>> e non gia nel senso di società fondata sul <<diritto naturale>>"[74]. È una forzatura del dato esegetico attribuire "all'espressione <<società naturale>> un valore diverso da quello che compete alla espressione <<formazione sociale>>", giacchè ad una lettura più attenta al dato normativo che a quello testuale si intende come la qualifica di società naturale, riferita alla famiglia dall'art.29 Cost., debba essere intesa come individuante non tanto un'entità sociale prima che giuridica, bensì, una formazione sociale ove <<naturalmente>> si svolge la personalità dell'individuo talché l'avverbio <<naturalmente>> sta ad indicare il luogo ove per ovvia discendenza di affetti è dato scorgere ciascun individuo in relazione con il suo prossimo[75]. Solo così, intesa, cioè, come formazione sociale si coglie l'essenziale storicità e relatività della nozione, siccome intrinsecamente dipendente dal tipo di società che si considera e dal grado di evoluzione raggiunto di modo che, per quanto attiene alla struttura ed all'organizzazione della famiglia occorrerà sempre rifarsi alle valutazioni operanti nell'ambiente sociale.

In definitiva, occorrerà sempre rifarsi al dato normativo nell'esaminare con gli occhi del giurista il fenomeno sociologico <<famiglia>> e di conseguenza il dato sociale <<famiglia di fatto>> in quanto, siccome il regolamento approntato dal legislatore non può mai prescindere dalla realtà concreta della nostra società, non può certo ignorarsi, alla luce dei rilievi svolti, che luogo di sviluppo e di integrazione globale della persona sia oggi anche la famiglia di fatto che benché di fatto è pur sempre famiglia.

 

 

Orientamenti ideologici, evoluzione terminologica e procedimenti ermeneutici

§ 1. Considerazioni preliminari.

Le posizioni, sovente contrastanti, assunte dalla dottrina di fronte al fenomeno in esame sono da sempre state caratterizzate dall'uso di una variegata terminologia ed i vari termini cui si è fatto ricorso per la definizione del fenomeno stesso riflettono appieno le posizioni ideologiche dell'interprete denotando il punto di partenza che contiene già in sè le premesse per delineare, prima ancora di addurre le relative argomentazioni, il punto di arrivo del suo processo ermeneutico . È evidente, infatti, la valenza ideologica insita nel termine che si assume idoneo a rivelare i connotati che si pretende di attribuire all'oggetto della 

riflessione, tanto che spesso le analisi giuridiche condotte sul tema mirano "a fornire conferma oggettive delle valutazioni soggettive di partenza" . Dunque la valenza positiva o negativa del dato semantico disvela il segno dei valori da cui muove l'interprete e di conseguenza il suo atteggiamento verso il fenomeno esaminato ove si consideri che "gli orientamenti ideologici dell'interprete sono una componente essenziale dell'interpretazione, [...] fenomeno additivo del precetto normativo" . Ciò spiega perchè il settore della famiglia, intriso di una pluralità di valori - individuali, sociali, religiosi e storici -  risente più di ogni altro dei valori dell'interprete della coscienza sociale tanto che l'analisi di un fenomeno quale la famiglia di fatto - che nasce dissonante dall'ordine costituito - riflette il "grado di evoluzione dell'ordinamento giuridico"  e della società nel suo complesso. Come è stato ben notato, posto che ai diversi termini "che pur, con innegabili differenze, finiscono per indicare il medesimo fenomeno", si attribuisce una valore diverso da un punto di vista - non tanto o non soltanto semantico, quanto piuttosto -  ideologico, [...] si  potrebbe ipotizzare una sorta di evoluzione dall'uno all'altro" , che corre parallela ad una evoluzione - "qualcuno magari la chiamerebbe [...] involuzione", nota il Dogliotti  - della coscienza e del costume sociali. Di questa evoluzione è possibile tracciare delle fasi, in successione temporale, che attraverso il passaggio da concubinato a convivenza more uxorio fino a giungere a famiglia di fatto sul piano semantico, hanno caratterizzato il diverso significato - e se vogliamo le diverse funzioni e la diversa consistenza - che il fenomeno ha assunto nel contesto sociale prima che giuridico.

In questa breve premessa non può non rilevarsi che,  tuttavia, le analisi giuridiche condotte su posizioni ideologiche aprioristiche conducono sovente a risultati assai opinabili , di talchè sembra più ragionevole ritenere che, qualunque siano i canoni extra giuridici che animano la ricerca, il giurista debba mantenersi quanto più possibile attaccato alle maglie dell'ordinamento giuridico onde poter valutare il fenomeno in relazione ai principi cui esso si informa, non potendo la posizione ideologica dell'interprete, 

trasformarsi in un impasse pregiuridico denotantesi già nella scelta del termine, già di per sé indicativo della rilevanza che a tale fenomeno si vuole o non si vuole - come taluno sostiene - riconoscere.

In ogni caso, qualunque siano i valori della coscienza sociale da cui si voglia prender avvio,  non è più possibile, nell'attuale società, penalizzare o  ignorare l'esistenza di rapporti che si concretizzano in una comunione spirituale e materiale di vita non fondata su un atto formale e da cui possono sorgere una serie di conflitti meritevoli di regolamentazione e "al di là della terminologia prescelta, si tratta di identificare il fenomeno cui si fa riferimento" .

 

 

 

§ 2. Concubinato, convivenza more uxorio, unione libera o famiglia di fatto?

a) Concubinato.

L'uso dell'espressione <<concubinato>> per indicare il fenomeno della famiglia di fatto reca in sè tutto lo sfavore di cui l'istituto, a dir del vero riconosciuto o per lo meno tollerato dal diritto romano dell'epoca repubblicana, è stato intriso a partire dalla legislazione costantiniana sotto l'influenza del pensiero cristiano. Prescindendo per ora dal dato storico su cui torneremo, e soffermandoci al dato normativo, così come esso è venuto ad evolversi nel corso di questo secolo, occorre rilevare che col medesimo sfavore si guarda alla famiglia di fatto allorchè ad essa ci si riferisce con il termine concubinato. Già A.C.Jemolo, aderendo pienamente alle posizioni espresse dal Trabucchi nella monografia Natura, legge, famiglia, in Riv. Dir.Civ,, 1877, I, 1.27, riportandosi al linguaggio comune della sua infanzia, rammenta che piuttosto che di convivenze, nell'ipotesi di "un uomo ed una donna che convivessero senza il vincolo matrimoniale" , si sentiva parlare di famiglia illegittime, di "concubinato e di famiglia della mano sinistra", posto che, come egli rileva, di vivere more uxorio - ai fini dell'applicabilità di alcuni istituti civilistici, quali ad es. il riconoscimento del figlio naturale ex art.269 cod. civ. ora abrogato dalla legge di riforma del diritto di famiglia - si può parlare solo in quelle ipotesi in cui il codice civile fa riferimento al "vivere notoriamente come coniugi".

In realtà l'espressione <<concubinato>> trovava nel nostro ordinamento dei precisi riferimenti normativi - tanto che il Dogliotti nota come tale scelta terminologica fosse l'unica ad avere un preciso riferimento normativo - evocanti una "certa forma di sanzione"  verso quelle forme di relazioni familiari dissonanti, in un certo qual modo, dall'unica organizzazione familiare ritenuta degna di tutela, id est la famiglia fondata sul matrimonio, inteso questo come vincolo formale coercitivo. In questo ordine di idee l'ordinamento riferiva al concubinato delle fattispecie penali (quasi "una sorta di adulterio continuato") da cui scaturivano, sul piano civile, gli estremi per l'addebitabilità della colpa nelle cause di separazione anche se, sui due versanti (penalistico e civilistico), il legislatore non ricorreva alla medesima terminologia. Il dato positivo, infatti, mostra come mentre il termine <<concubinato>> era assunto come nomen juris del reato di cui all'art.560 c.p. ora abrogato, passando al rilievo civilistico la diatriba nel corso dei lavori preparatori del cod. civ. 1942 tra coloro i quali intendevano usare lo stesso termine che ben evocava "il concetto di continuità"  e coloro che ritenevano superfluo il dato semantico dato che era già chiaro in ipsa re "che la convivenza debba aver avuto un certo carattere di continuità"  per qualificare alcune vicende civilistiche, si risolse con l'esclusione del termine <<concubinato>> dal cod.civ. proprio perchè posto nel cod.pen. quale elemento costitutivo di una figura  delittuosa .

Di questo rilievo esegetico non sembrano tener conto quegli interpreti che, ostici verso ogni forma di relazione familiare non supportata dal vincolo giuridico dell'istituto matrimoniale, informano le proprie considerazioni alla valenza negativa che il concubinato esprimeva sul piano penale. Tali interpreti, in realtà, si attestano su posizioni estreme, talora provocatorie, spinti dalla erronea convinzione morale che l'allargamento del concetto di famiglia alle relazioni familiari non coniugali sia una "offesa alla santità della famiglia legittima" , unica qualificata "dall'assunzione di un impegno legalmente riconosciuto [...] a garanzia della società ma anche a salvaguardia di elementari sentimenti umani".

 

b)Convivenza more uxorio.

In modo neutro, dunque anche nel segno dell'irrilevanza, si  è usato l'altro termine, quello di convivenza more uxorio (e analogamente quella di convivenza paraconiugale), per identificare  il fenomeno in analisi. Proprio per il suo carattere di neutralità, tale espressione è quella che fino ad oggi ha riscosso maggior credito in giurisprudenza  giacchè la formula, che sostituisce quella di <<concubinato>>, sottende un riferimento alla semplice "consuetudine di vita in comune, effettuata con modi, comportamenti, atteggiamenti simili (o identici) a quelli dei coniugi" . Il riconoscimento della convivenza more uxorio opera solo sul piano fattuale e in quanto tale non implica necessariamente l'attribuzione di rilevanza nell'ambito della normativa familiare in senso stretto. In tal senso si argomenta che l'ordinamento mostra a riguardo una sorta di agnosticismo mentre la Costituzione non accoglie tipi di organizzazioni familiari diversi dalla famiglia legittima la quale riveste un ruolo di "centralità, cui la convivenza more uxorio non può essere nemmeno lontanamente assimilata" .

A dar maggior vigore a tale dato semantico ricorre, nelle costruzione degli interpreti intesi a negare rilevanza al fenomeno della famiglia di fatto, l'assunto per cui il legislatore mentre  "ignora ormai il termine concubinato, continua a non ignorare l'espressione convivere come coniugi"  sintomo, questo, dell'interesse (o del disinteresse) dell'ordinamento che, se da una parte non disdegna il termine, dall'altra si astiene dal delineare i contorni di una struttura parafamiliare limitandosi a degli sporadici riferimenti in una serie di norme sparse e non riconducibili ad un sistema organico e coerente bensì ispirate a situazioni contingenti e non generalizzabili ed in quanto tali non idonee a "intaccare il principio generale dell'irrilevanza assoluta del fenomeno nell'ambito"  della nozione di famiglia accolta.

 

c)Unioni libere.

Sempre nel segno dell'irrilevanza, ma sulla base di argomentazioni più complesse, informate all'ideale pluralista accolto nell'art.2 della nostra Costituzione, si è usata l'altra espressione, quella di <<unione libera>>, per certi versi equivalente alla precedente, che definendo le relazioni familiari intessute al di fuori degli schemi istituzionalizzati individua nella  riserva di libertà l'essenza del fenomeno . Si intende, dunque, porre l'accento sulla inanità del tentativo di contemperare la scelta di libertà operata dai conviventi con l'acclamata regolamentazione giuridica di taluni aspetti che essa implica. "Libertà da un'impostazione dirigistica" , dunque, e nello stesso tempo libertà di addivenire alle più svariate forme associative che ben può esplicarsi nella costituzione di una unione paraconiugale quale scelta alternativa al diritto. In tale forma di aggregazione individuale, che rileva come "una delle varie letture [della] norma sulle formazioni sociali"  configurantesi come norma a "fattispecie aperta" , la scelta di convivere liberamente implica la volontà di non assumere alcun impegno formale di ordine giuridico, di porre, cioè, il proprio rapporto al di fuori degli schemi istituzionalizzati riservando alla propria autonomia la disciplina dei rapporti tra le parti dovendo l'ordinamento astenersi dall'approntare una tutela analoga a quella della famiglia legittima  bensì garantire il rispetto della volontà di conviventi di "non formalizzazione e di libertà che sono proprie della loro  scelta di coppia"  all'insegna della spontaneità in tutte le sue vicende. Ma a fronte di tali considerazioni si pone la necessità di contemperare le scelte di libertà con le esigenze parimenti rilevanti di responsabilità  verso il soggetto più debole, sia esso uomo o donna, ove avvenga la sopraffazione della propria personalità, posto che, come nota il Rescigno "la garanzia apprestata dalla norma della legge fondamentale non cade direttamente sulle formazioni sociali esplicative della personalità ma piuttosto sui diritti inviolabili dell'uomo"  che vi trovano svolgimento. Anche su questo punto ritornerà la nostra riflessione.

 

d)Famiglia di fatto.

La definizione della convivenza familiare non fondata sul matrimonio, ma sul semplice rapporto in itinere, con il termine <<famiglia di fatto>>, chiarisce, in limine, il valore morale e giuridico che l'interprete riconosce al quid facti. Passando dalla definizione di convivenza, sia pure more uxorio, a quella di  famiglia, si sottolinea che non vi è più solo vivere insieme, ma anche, e soprattutto, famiglia con tutte le implicazioni e i valori che essa comporta. Ed è evidente la valenza ideologica insita nell'espressione: "famiglia di fatto non è solo il convivere come coniugi, è prima di tutto <famiglia>, portatrice di valori di stretta solidarietà (allo scopo di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, e di educazione ed istruzione della prole), che venivano finora considerati propri ed esclusivi della famiglia fondata sul matrimonio" . Sulla base, di tali considerazioni "l'espressione famiglia di fatto comincia ad incontrare sempre più fortuna in dottrina e giurisprudenza (magari [...] anche quando la si usa per affermare l'irrilevanza del fenomeno) man mano soppiantando quella di convivenza more uxorio e di concubinato" , quest'ultima ormai opportunamente abbandonata in quanto anacronistica con il dato positivo.  Come è stato pure rilevato, "la fortuna dell'espressione si accompagna dunque ad una significativa evoluzione di idee" e l'impiego del termine <<famiglia>> "non solo avvicina il fenomeno alla famiglia  legittima, fondata sul matrimonio, ma nella concessione linguistica trasmette al destinatario del messaggio un patrimonio di valori, emozioni, sensazioni [alludendo alla] convivenza di due persone di sesso diverso, fondata sulla comunione materiale e spirituale, allietata dalla presenza dei figli".

Tuttavia, proprio la correlazione con l'antagonista <<famiglia legittima>> - in un processo ermeneutico di equiparazione volto a minimizzare le differenze - induce ad una serie di riflessioni in ordine alla necessità di "cogliere preliminarmente l'elemento strutturale comune tra famiglia c.d. <<legittima>> e famiglia c.d. <<di fatto>>" . Già sul piano semantico, infatti, si pone in evidenza che, ricorrendo in entrambe le espressioni il termine <<famiglia>>, cui deve attribuirsi identico valore semantico, la linea differenziale tra i due istituti deve porsi sulle ulteriori qualificazioni <<di fatto>> e <<legittima>>, tanto che alcuni interpreti, alla ricerca di argomentazioni di raffronto con la realtà delle qualificazioni giuridiche, si esprimono causticamente riferendosi alla <<famiglia c.d. di fatto>> anziché alla <<c.d. famiglia di fatto>>. Per Lipari è proprio questo "il vizio di fondo in cui incorre la dottrina quando affronta la problematica del rapporto familiare di fatto". A riguardo soccorrono due ordini di argomentazioni: in primo luogo, accettare sic et simpliciter la qualificazione famiglia di fatto, se per certi versi rappresenta una scelta ideologica, lascia comunque adito ad ambiguità quasi che aggiungendo al termine <<famiglia>> la qualificazione <<di fatto>> "si volesse aprioristicamente considerare questo tipo di famiglia irrilevante per il diritto"  mentre in realtà la qualificazione <<di fatto>> connota semplicemente il modo in cui la fattispecie viene in essere  (rebus ipsis et factis e non già per effetto di un negozio giuridico), in quanto si tratta, sul piano metodologico, di definire la "qualità e la quantità di rilevanza"  e non di risolvere la questione "di rilevanza o irrilevanza" ; in secondo luogo, assumere per <<famiglia di fatto>> un rapporto di tipo coniugale-familiare in cui manca un valido matrimonio civile significa desumere la individuazione del fenomeno pratico "in termini di qualificazione formale, ancorchè espressa per correlato alla <<famiglia diritto>>, intesa come effetto di un atto formalmente qualificato, il matrimonio"   di modo che "il criterio individuante del fenomeno pratico risulta artificiosamente ricondotto ad un indice normativo"  mentre sarebbe più corretto, "affrontare il problema della individuazione del rapporto familiare in termini empirici [posto che] la qualificazione giuridica si attaglia ad un fenomeno pratico già individuato secondo i connotati emergenti dall'esperienza" . Sul punto torneremo più avanti.

A conclusione di queste brevi riflessioni sulla terminologia usata dai giuristi che hanno inteso occuparsi del fenomeno della famiglia non fondata sul matrimonio, senza alcuna presunzione di forzare il dato positivo, sembra lecito proporre la ricomprensione di entrambi i concetti di famiglia legittima (come forma istituzionalizzata) e di famiglia di fatto (quid facti che assurge a quid iuris) nel più ampio concetto di <<famiglia legale>> , idoneo ad abbracciare l'intero ambito delle relazioni familiari svolgentisi nella realtà sociale variamente configurate e disciplinate dal legislatore secondo il loro diverso ambito di operatività, onde "recuperare alla dimensione qualificante del diritto"  i rapporti che trovano svolgimento nella famiglia di fatto. Non può dimenticarsi, infatti che, scostandosi da posizioni aprioristiche e giusnaturalistiche, accanto alla famiglia legittima, sicuri indici di rilevanza normativa possono riconoscersi a rapporti familiari derivanti da altre fonti (come per es. l'adozione o il riconoscimento del figlio naturale ed all'uopo si parla tranquillamente di famiglia adottiva, di famiglia naturale) così come illis temporibus si parlava di famiglia parentale (o famiglia allargata) volendo intendere una serie di relazioni intercorrenti tra persone legate da vincolo di parentela, nella misura in cui si producono gli effetti personali tipici del vincolo familiare. In realtà occorre svincolarsi dall'impostazione di segno negativo della dottrina tradizionale, secondo la quale l'alternativa si porrebbe tra rapporto di fatto e rapporto di diritto, basata sull'erronea convinzione che il primo si svolga su un piano metagiuridico e su ciò torneremo nella prospettiva del rapporto inteso quale dato socialmente rilevante che in quanto tale assume rilevanza sul piano del diritto.

 

Roma, 1997.

 

NOTE



[1]Cfr. P. RESCIGNO, Persone e comunità, II, Padova, Cedam, 1988, p.252.

[2]G. ALPA, Giurisprudenza di diritto privato, vol.I, Torino, Giappichelli, 1991, p.75.

[3]Id., ivi, p.84.

[4]F.D'ANGELI, La tutela delle convivenze senza matrimonio, Torino, Giappichelli, 1995, p.1.

[5]Id., ibidem.

[6]Id., ibidem.

[7]P.DONATI, La famiglia di fatto come realtà sociale e come problema sociale oggi in Italia, in Iustitia, 1990, pp.239 ss.

[8]G.DE LUCA, La famiglia non coniugale. Gli orientamenti della giurisprudenza, Cedam, Padova, 1996, p.3.

[9]"Sessualità, procreatività, educazione, vita quotidiana [...] pacificate nell'amore coniugale, nella filiazione, nei ruoli familiari, nella parentela, nell'abitare, [...]", così P.VENTURA, Famiglia di fatto, famiglia legittima e giusta familiarità, in Iustitia, 1990, p.420, che ritiene tali elementi come componenti della "vera e giusta familiarità" (ivi, p.417).

[10]P.VENTURA, op. cit., p.417.

[11]P.DONATI, op. cit., pp.239 ss., con ciò esclude che possa parlarsi di famiglia laddove una relazione di convivenza, seppur stabile, si instauri tra partner omosessuali ove quand'anche si adottasse un figlio o lo [si] avesse tramite bio-tecnologie riproduttive, non potrebbe costituir[si] un ambiente di socializzazione valido per quest'ultimo (ivi, p.245). In realtà sciolta positivamente la pregiudiziale sugli omosessuali e riconosciuti come tali soggetti di diritto il principio di eguaglianza non consente discriminazioni. Ma non è solo con le coppie di omosessuali che chi ragiona in questi termini dovrà fare i conti, in quanto il pluralismo familiare involge diversi nuovi problemi quali quello della famiglia monopersonale, della famiglia in cui a far da genitori potrebbero essere più padri o più madri uniti in relazioni eterosessuali, ciò per via della tendenza a ricorrere sempre più, in assenza di regolamentazione, alle nuove forme di riproduzione artificiale (si pensi al cd utero in affitto).

[12]Così P.DONATI, op. cit., p.243.

[13]È stato anche affermato più vigorosamente che "l'equiparazione richiesta tra famiglia di fatto e famiglia legittima non solo è ingiusta rispetto al principio di (vera) uguaglianza (non equalitarista) [...] ma lascia intendere chiaramente che ciò cui si mira, se non altro comparativamente, è un vero e proprio favor facti" (P.VENTURA, op. cit., p.418) in contrasto con l'assunto secondo cui non ex facto oritur ius sed ex iustitia oritur ius" (su cui torneremo).

[14]Tanto che secondo P.VENTURA, op. cit.,  il fenomeno della famiglia di fatto si risolverebbe in non altro che una "contingente corporalità sessuale (p.424), come tale "secondo la cultura della semplificazione propria delle società complesse-mediali - continua lo stesso A.- inidonea a coordinare, dando loro serietà ed equilibrio, i sessi, la sessualità, l'amore, la procreatività e la procreazione, l'educazione e la parentela" (ivi) espressione dell'"ordine giuridico familiare" (ivi).

[15]Sulla base di tale considerazione il Donati definisce la famiglia di fatto come unione libera more uxorio in assenza di un matrimonio essendo questa la sola differenza che fa differenza (Cfr. op. cit., p.244).

[16]Id., ibidem.

[17]È stato rilevato (Cfr. P.VENTURA, op. cit., p.417) come in realtà mentre da un lato l'ordinamento giuridico continuerebbe a riconoscere come modello familiare la sola famiglia legittima (società naturale fondata sul matrimonio, art.29 Cost.) , dall'altro si afferma "progressivamente nel tempo , ma regressivamente in ipsa re, un modello sfigurato e deformato di famiglia le cui caratteristiche normative ... sono: il divorzio, l'aborto, il controllo delle nascite, la gestione statale dell'educazione, la mancanza di ogni vera politica per la famiglia" (ivi, p.417).

[18]P.DONATI, op. cit., p.240.

[19]P.VENTURA, op. cit., p.416 ss.

[20]P.DONATI, op. cit., p.240.

[21]F.D'ANGELI, op. cit., p.2, in particolare V. il rimando sub nota 2).

[22]Id., ibidem.

[23]Cfr. A.MANOUKIAN, Famiglia e matrimonio nel capitalismo europeo, Bologna, Mulino, 1974.

[24]Appare chiaro come un ruolo importante nel passaggio dall'uno all'altro stadio lo abbia giocato la trasformazione della piccola e media impresa intorno a cui nell'800 ruotava l'intera macchina industriale fagocitata dalle grandi multinazionali (trans o multi-nazionali) e dalle grandi catene di distribuzione (le grandi famiglie industriali oggi, si pensi alle grandi famiglie dell'acciaio od in Italia dell'automobile, tendono a scomparire dalla realtà economica). Oggi si pone per lo meno un ripensamento del ruolo della famiglia come fattore propulsivo del sistema economico in termini di riequilibrio dello stesso attraverso la valorizzazione della piccola e media impresa  (Cfr. R.B.REICH, L'economia delle nazioni, Il Sole 24 Ore, Milano, 1991)

[25]"Società tecnologica, quantitativamente complessa, dei sistemi informativi che formano en masse la pubblica opinione e premono con urgenza sui sistemi normativi" (così, P.VENTURA, op. cit., p.415 che rimanda per una completa esposizione sui temi della complessità a V.CESAREO, Società complessa e cultura di massa, in Aggiornamenti sociali, 1989).

[26]F.D'ANGELI, op. cit., p.5; ma v. per un residuo di funzioni politiche in ordine all'educazione della prole, C.M.BIANCA, Diritto civile. 2 La famiglia le successioni, Giuffrè, Milano, 1989, p.7.

[27]F.D'ANGELI, op. cit., p.6.

[28]Id., ibidem.

[29]Id., ibidem.

[30]In termini negativi coglie quest'aspetto P.VENTURA, op. cit., , 416, secondo cui la "morte della famiglia" sarebbe dovuta all'affermarsi di teorie e relative prassi nel segno dell'anti-edipismo, della rivoluzione sessuale, e della società senza padre, i cui maggiori assertori sono W.REICH, La rivoluzione sessuale, Milano, 1963; H.MARCUS, Eros e civiltà, Torino, 1968; D.COOPER, La morte della famiglia, Torino, 1962.

[31]G.DE LUCA, op. cit., p.1, nota 1.

[32]In ordine alle funzioni politiche di cui la famiglia risulta oggi spogliata rispetto al passato, valgono le stesse considerazioni svolte relativamente alle funzioni economiche giacchè le leve del potere politico, nell'800 saldamente in mano alle diverse caste familiari, oggi si allocano in occulte lobby economiche non riconducibili ad un gruppo legato da relazioni familiari.

[33]Sul piano sociologico il dato che appare inconfutabile è la crescente privatizzazzione della famiglia che proietta il concetto di famiglia verso quel modello di "famiglia auto-poietica" definita dal Donati (op. cit., p.239) ossia "famiglia che genera da sè le proprie strutture" facendosi sempre più norma a se stessa (ibidem).  Lo stesso Autore rileva come tale fenomeno era stato già in passato osservato da "C. Lèvi-Strauss .. allorchè avvertiva che la famiglia non è mai veramente stata prossima a scomparire quanto piuttosto è sempre stata prossima a chiudersi in se stessa" (Id., p.240).

[34]S.RODOTÀ, La riforma del diritto di famiglia alla prova. Principi ispiratori ed ipotesi sistematiche, in Il nuovo diritto di famiglia, Atti del Convegno organizzato dal Sindacato Avvocati e Procuratori di Milano, 1976, p.3 ss.

[35]Ci riferiamo (Cfr. M.BELLOMO, voce Famiglia. Diritto intermedio, in Enc. Dir., vol.XVI, pp.744 ss.) all'epoca medioevale in cui le istituzioni familiari rivelavano una duplice natura involgente da una parte i sentimenti e le idee dei suoi componenti e dall'altra i cardini di una struttura avente una giustificazione nel rapporto con la realtà politica degli ordinamenti superiori segnando l'ascesa o la decadenza dei singoli aggregati familiari.

[36]F.D'ANGELI, op. cit., p.4.

[37]BUSNELLI-SANTILLI, La famiglia di fatti, in Commentario al diritto italiano della famiglia, Cedam, Padova, Tomo 1, VI, pp.757 ss.

[38]Id., p.758.

[39]Id., ibidem.

[40]Id., ibidem.

[41]Id., p.759.

[42]Id., p.758.

[43]Id., p.759.

[44]G.PIEPOLI, Realtà sociale e modello normativo nella tutela della famiglia di fatto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1972, p.1433.

[45]Id., p.1434.

[46]Secondo alcuni sociologi del diritto, al contrario, la famiglia dovrebbe essere di diritto fin dall'origine traendo la propria giuridicità da "ragioni metafisico-religiose" ed "etico-giuridiche" (Così, P.VENTURA, op. cit., p.419, il quale ammonisce il giurista che "non vede bene l'originarietà del <<diritto naturale vigente>>" secondo le costruzioni operate nella nostra filosofia del diritto da S. COTTA, di cui richiama lo scritto Giustificazione e obbligatorietà delle norme, Milano, 1981, p.131)

[47]BUSNELLI-SANTILLI, op. cit., p.758. In questa prospettiva non può condividersi dunque la tesi del Donati (op. cit.) secondo cui essendo una ristretta minoranza il numero delle coppie non unite in matrimonio rispetto alle coppie normali (Cfr. i dati statistici riportati dallo stesso Autore che in realtà possono ben ritenersi sottostimati per via della reticenza degli interessati anche se di tale rilievo l'A. non tiene conto nel trarre le sue conclusioni qui riportate) nella loro equiparazione occorre valutare l'impatto in termini di svalorizzazione di queste ultime.

[48]Lo stesso Autore nota come questa corrispondenza necessaria sia "il vizio logico di origine" del tradizionale modo di affrontare il problema. Nel proseguio del presente elaborato sarà posto l'accento sullo speculare processo di giuridificazione e degiuridifcazione del rapporto familiare.

[49]Si veda, ad es., quanto sostiene P.VENTURA, op. cit., pp.417-418, secondo il quale "le pretese della famiglia di fatto indeboliscono la famiglia legittima", luogo a suo avviso della "giusta familiarità", dando vita ad una anti-familismo che persegue "la morte della famiglia attraverso il diritto".

[50]L'espressione <<famiglia legale>> è presa in prestito dal Donati (op. cit) ma con un significato diverso avendo egli voluto indicare con essa quella che i giuristi e qui nel testo definiscono legittima onde precisare che la propria osservazione è condotta in chiave sociologica e non giuridica.

[51]Non condivisibili, in questa chiave, sembrano poi le posizioni di coloro che "agitando il fantasma della famiglia di fatto presagiscono l'indebolimento ulteriore della famiglia legittima attraverso l'affermazione definitiva dell'inutilità del matrimonio [...] come già avvenuto col divorzio e con l'aborto e come sta avvenendo - ammoniscono - con l'eutanasia (magari tra coniugi) [...] seguendo un obiettivo non dichiarato" (così, P.VENTURA, op. cit., p.419).

[52]G.PIEPOLI, op. cit., p.1444.

[53]Cfr. P.RESCIGNO, Relazione al Seminario su famiglia  e diritto a vent'anni dalla riforma, (svoltosi in Pavia p.sso il Collegio Ghisleri in collaborazione con la locale Facoltà di Giurisprudenza ed organizzato dai Proff. A.Belvedere e C.Granelli.) in Riv. Dir. Civ., 1995, II, 692.

[54]Così, I.MESTRONI, Il seminario pavese su famiglia e diritto a vent'anni dalla riforma, cit., commentando l'intervento del Rescigno di cui alla nota precedente.

[55]Id., ibidem.

[56]Id., ibidem. In realtà occorre notare come l'intero testo Costituzionale abbia natura compromissoria da cui la possibilità di una pluralità di apprezzamenti  e di complessi bilanciamenti dei valori costituzionali (Cfr. M.LUCIANI, Il voto e la democrazia, Roma, Editori Riuniti, 1991, pp.6 ss., il quale, sul compromesso Dossetti-Togliatti, in materia di diritti fondamentali e sulle tracce profonde del pensiero sociale cattolico nella Costituzione, richiama A.BALDASSARRE, Diritti inviolabili, in Enc.Dir., Vol.XI, Roma, 1989, pp.8 ss. e 16).

[57]G.DE LUCA, op. cit., p.2, nota 2.

[58]È Jhon Locke che rompendo una tradizione ultra millenaria per primo riferisce l'istituto familiare al diritto naturale su cui v.oltre nel testo. I giuristi desumono il concetto di diritto naturale dalle fonti romane rifacendosi all'incipit delle Istituzioni di Giustiniano (J.1, 2, pr.) dove viene posto il concetto di jus naturale inteso come legge di natura comune a tutte le creture viventi (<<quod natura omnia animalia docuit>>) da cui <<descendit maris atque feminae coniugatio quam nos matrimonium appellamus>>.

[59]Ci riferiamo all'indagine storica condotta intorno alla nozione di famiglia accreditata dai giuristi romani.

[60]E.VOLTERRA, voce Famiglia, Diritto romano, in Enc. Dir., cit., p.723.

[61]Sotto l'influenza di tale metodo d'indagine si affermava una duplice concezione di Famiglia: l'una identificantesi nel gruppo domestico basato sul matrimonio e formata da individui uniti fra loro da vincoli di sangue e di affinità; l'altra concretizzantesi in un organismo ben più ampio e prescindendo da qualsiasi vincolo di sangue che sarebbe tenuta unita da motivi di ordine e di difesa nonché dalla sottoposizione all'autorità di un capo. Da questa seconda concezione per lungo tempo è quella dominante nasce l'idea della famiglia come gruppo politico come gruppo cioè all'interno del quale trovano svolgimento delle funzioni d'ordine politico oggi proprie dello Stato ma prima ancora che nascesse lo Stato romano della civitas, come gruppo cioè che avrebbe preceduto lo Stato-città. Questa teoria prospettata con maggior vigore dal Bonfante nel 1888 e pressoché unanimemente accolta, prendeva spunto e fondamento da una serie di indizi in epoca più recente sottoposti ad attenta critica volta a mostrane l'infondatezza e la non rispondenza a quanto risulta dalle fonti.

[62]G.DE LUCA, op. cit., p.2, nota 2.

[63]P.BARCELLONA, voce Famiglia. Diritto civile, in Enc. Dir., cit., p.779.

[64]Id., ibidem.

[65]Id., pp.779-780.

[66]Id., ibidem.

[67]Id., ibidem.

[68]Id., ibidem; (V. ad esempio gli artt.1022-1023); In tale prospettiva è facile comprendere le ragioni di una maggiore esigenza di regolamentare il fenomeno della famiglia di fatto posto che se l'appartenenza alla famiglia è un mero presupposto di una certa qualificazione giuridica tale qualificazione è riferita alla sostanza presente anche nella famiglia di fatto e sarebbe ingiusto negare tale qualificazione ad un soggetto convivente in una famiglia di fatto per cui occorre estendere il nucleo di norme che delimitano la famiglia legittima onde potervi comprendere il concetto di famiglia di fatto e questo potrebbe essere un rilievo da muovere a coloro i quali sostengono che il legislatore si dovrebbe astenere da qualsiasi intervento non essendo necessario riconoscere tale unione per assicurare una tutela.

[69]P.BERCELLONA, op. cit., p.780, nota 6.

[70]Id., ibidem.

[71]G.DE LUCA, op. cit., ivi.

[72]Id., ibidem.

[73]Id., ibidem.

[74]Id., ibidem.

[75]Illuminanti sono sul punto le argomentazione svolte da G.ALPA, I sentimenti ed il diritto, in La nuova Giur. civ. comm., 1995, II, pp.354-356, su cui oltre nel testo.

 

 

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