Il minore e la famiglia tra
pubblico e privato
a cura del Dott. Maurizio Aloise
La difesa dei minori nel loro
vissuto all’interno del nucleo familiare si presenta oggi all’interprete ed
all’operatore di diritto con aspetti del tutto nuovi rispetto al passato. Il
nuovo <<diritto minorile di famiglia>>[1]
non deve fare più i conti con la sottoposizione dei figli all’autorità politica
assoluta del capofamiglia, nè si pongono problemi legati alle interferenze tra
situazione di incapacità legale di agire del minore e soggezione alla potestà
dei genitori.
Di sicura rilevanza sono,
invece, gli obblighi di assistenza, di mantenimento, di educazione nel rispetto
dei diritti fondamentali del figlio, che gravano sui genitori anche se su di
essi l'attenzione e l'interesse sotto il profilo patologico sorgono in termini
di assistenza, di intervento istituzionale al fine di garantirne l’effettività.
Al diritto del minore di
essere mantenuto, educato e istruito dai genitori corrisponde non solo il
dovere di questi ultimi a norma dell’art.147 c.c. ma anche quello dello Stato
di aiutare in tutti i modi i genitori a svolgere adeguatamente quel compito
così essenziale a norma dell’art.1 della legge 4 maggio 1983, n.184. In caso di
inosservanza di tali obblighi da parte dei genitori, allora l’ordinamento
prevede che il giudice può e deve intervenire ex art.333 c.c.
Ma l’interesse del minore,
dato il suo eminente valore sociale, ha una ben chiara rilevanza pubblicistica
che impone allo Stato di promuoverne e garantirne l’attuazione oltre che,
ovviamente, con opportuni interventi legislativi ed articolate misure di
controllo attuate per il tramite dell’autorità giudiziaria che presiede
all’esercizio della potestà dei genitori[2],
mediante un sistema di sicurezza sociale efficiente capace di vincere le
incrostazioni burocratiche e clientelari
degli attuali apparati della previdenza e dell’assistenza sociale ed
assicurare lo svolgimento di quella funzione integrativa e sussidiaria che si
conviene all’assistenza pubblica nei suoi doveri di solidarietà sociale[3].
Di certo il diritto del
minore all’educazione all’equilibrato sviluppo della sua personalità non muta
sia che si realizzi nell’ambito della propria famiglia sia che a causa della
mancanza di un valido nucleo familiare e/o la presenza di fattori di devianza
sociale sia necessario l’intervento pubblico tanto di organi dell’apparato giudiziario
quanto di organi della pubblica amministrazione[4].
La problematica minorile
riguardata nella direzione della dicotomia famiglia-Stato ruota intorno al
bisogno-diritto del minore allo sviluppo psicofisico ed all'educazione che
trova fondamento negli artt.2, 3, 30 e 31 della Costituzione[5]
posto che il bisogno fondamentale del minore è quello di vivere nelle
condizioni favorevoli alla formazione ed allo sviluppo della sua personalità
nella sua qualità di <<cittadino in formazione>>[6].
In questa impostazione,
fondata sui principi costituzionali, la posizione del minore è quella di una
persona degna di particolare protezione e non già quella del minore come
oggetto di tutela[7], ciò in ogni
tipo di rapporto educativo ed in primis nel rapporto genitori-figli. Per gli
artt. 29 e 30 Cost., la famiglia è istituzionalmente il luogo privilegiato in
cui si forma e si sviluppa la personalità del minore anche se, data la sua
rilevanza pubblicistica, la tutela del diritto del minore va oltre l’ambito
familiare.
I vari istituti giuridici e
gli interventi della pubblica autorità a tutela del minore (e della sua
famiglia) possono efficacemente essere indicati come forme di assistenza
educativa[8].
In ogni caso, in ossequio al dettato costituzionale, l’intervento pubblico deve
privilegiare le forme di sostegno alla famiglia rispetto a quelle di supplenza
o di sostituzione degli organi pubblici dato il naturale ruolo della famiglia
nella cura dei minori[9].
Per quanto riguarda
l’intervento del giudice esso assume una duplice valenza poiché occorre
distinguere la funzione che il medesimo esplica ai sensi dell’art.316 c.c. e
quella più propriamente di controllo della potestà dei genitori in senso
stretto[10].
Il momento primario e
caratterizzante di esso, come d’altra parte di quello previsto dall’art.145
c.c., si identifica con l’esigenza di fornire ai coniugi il mezzo per superare
l’eventuale contrasto mentre le altre forme d’intervento non rimesse
all’iniziativa dei genitori implicano una funzione di controllo della loro
attività in via preventiva al fine di evitare un futuro pregiudizio la figlio.
Si pensi all’autorizzazione preventiva del giudice per il compimento di certi
atti su richiesta dei genitori ex art.320 c.c. ed alla nomina di un curatore
speciale su richiesta del figlio, del pubblico ministero o di un parente che vi
abbia interesse ex art.321 c.c.
L’intervento del giudice può
essere anche di tipo sanzionatorio come la pronunzia di decadenza dalla potestà
che deriva dalla violazione dei doveri inerenti alla patria potestà o dall’abuso
dei relativi poteri con conseguente grave pregiudizio per il minore ex art.330
c.c.
Se al giudice spetta la
funzione di garanzia, di controllo e di risoluzione dei conflitti a tutela del
minore alla pubblica amministrazione spetta la funzione di organizzazione dei
mezzi ed alle erogazione delle prestazioni assistenziali in favore del minore.
L’organizzazione dell’assistenza pubblica che opera
in stretto rapporto più con la giustizia minorile che con la famiglia ha subito
nel corso dell’ultimo ventennio un graduale processo di decentramento attuato
con la legge 23 dicembre 1975, n.405 che ha istituito i consultori familiari.
Sin dal suo primo articolo la legge definisce, infatti, il servizio
consultoriale come servizio <<di assistenza alla famiglia ed alla
maternità>> che si sostanzia nell’assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla paternità
ed alla maternità oltre che per i problemi della coppia e della famiglia in
ordine alla problematica minorile[11].
Nei casi di conflittualità
intrafamiliare tra genitori e figli o tra genitori in ordine all’esercizio
della potestà parentale l’azione del servizio consultoriale si articola
mediante forme di sostegno dei minori in difficoltà o di informazione e
vigilanza sull’osservanza delle prescrizioni date dall’autorità giudiziaria[12].
In particolare il
consultorio che si occupa di una determinata situazione di crisi familiare
svolgendo la sua consueta attività di consulenza per i soggetti interessati può
prendere l’iniziativa, nell’interesse del minore di informare il Pubblico
Ministero presso il Tribunale per i minorenni affinché richieda i provvedimenti
di cui agli artt.330 e 333 c.c. in esecuzione dei quali, poi, adotta gli
opportuni interventi di sostegno secondo le previsione del giudice per rimuovere
geli effetti pregiudizievoli per i minori. Nel caso di contrasto tra i genitori
nell’esercizio della patria potestà l’ausilio del consultorio nel procedimento
previsto dall’art.316 c.c. può contribuire a risolvere il problema familiare
chiarendo i termini del conflitto nello svolgimento di un'opera di mediazione
alla salvaguardia delle esigenze del minore. Si può ricordare anche, oltre al
fondamentale ruolo che il consultorio svolge in favore del minore nei casi di
interruzione della gravidanza[13],
la funzione consultiva svolta dal consultorio familiare nel procedimento di
autorizzazione a contrarre matrimonio ex art.84 c.c. stante la possibilità del
tribunale per i minorenni di richiedere opportuni accertamenti sulla maturità
psicofisica del minore[14].
Ma, senza dubbio, nel
settore della tutela dei minori, il servizio consultoriale, la cui
collaborazione con le strutture della giustizia minorile è stato reso difficile
dalla centralizzazione di questi ultimi a livello di capoluogo di distretto,
tra gli interventi di maggior rilievo svolti annovera quelli diretti a tutelare
il minore privo di un idoneo nucleo familiare e dunque in materia di adozione
ed affidamento.
Su queste due problematiche
riguardate non soltanto nella loro rilevanza giuridica ma anche nei risvolti
psico sociali sarà posta la nostra attenzione nei paragrafi seguenti poiché se
da una parte non vi è dubbio che la famiglia svolge un ruolo di fondamentale
importanza nella formazione del minore, dall’altra altrettanto certo è che
proprio per questo i maggiori problemi legati al tema della condizioni minorile
sorgono quando il minore viene a trovarsi privo di un ambiente familiare
idoneo.
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